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Le bevande tradizionali del mondo: Filippine

Un viaggio tra riti antichi, biodiversità e fermentazioni uniche

Dalle Figi all’Asia: continua l’esplorazione del gusto

Il viaggio alla scoperta delle bevande tradizionali del pianeta, la scorsa settimana si trovava in Oceania, nell’arcipelago che costituisce le Figi: queste isole trovano nel ‘kava’ (o ‘kavakava’), una bevanda inebriante ricavata dalle radici di un arbusto della famiglia delle Piperacee, il prodotto tradizionale per eccellenza.

Si tratta di un’erba che, per proprietà organolettiche, ricorda la valeriana: è conosciuta inoltre per le sue proprietà soporifiche, analgesiche ed è un rilassante muscolare. La cerimonia per la preparazione dura diverse ore e riveste tutt’oggi una grande importanza culturale e sociale presso la popolazione locale.

Le Filippine e il dono della biodiversità

Il tour, in questo nuovo appuntamento, cambia continente, vola in Asia e atterra nelle Filippine, che sono costituite da 7640 isole grazie alle quali, anche per la posizione geografica favorevole, il Paese può contare su una grande biodiversità: questo si traduce in un ventaglio di prodotti della natura che sorprende per varietà.

A tale aspetto si unisce il fatto che il territorio è stato colonizzato dagli spagnoli (che approdarono qui nel 1521 sotto la guida dell’esploratore portoghese Ferdinando Magellano): un’occupazione durata fino al 1898 (quando l’arcipelago è stato occupato dagli Stati Uniti), nel corso della quale sono state introdotte nuove coltivazioni, che hanno consentito anche di incrementare la produzione delle bevande tradizionali locali.

Il Baya: vino di riso con 2000 anni di storia

Fra queste troviamo quella derivante da una varietà di riso particolarmente glutinosa: si tratta del ‘Baya’, ovvero di un vino che fermenta grazie a un arbusto legnoso, conosciuto con il nome di ‘onwad’, che cresce nella zona.

Seguendo la ricetta tradizionale (che ha duemila anni circa) la preparazione è piuttosto rapida e dura un paio di giorni. Il primo passaggio prevede che il cereale venga pulito sciacquandolo più volte con l’acqua: in seguito, deve essere cotto e distribuito, per essere scolato, su dei tappetini realizzati col bamboo oppure sopra le foglie di banano dove viene lasciato per qualche ora.

A questo punto viene aggiunto l’humao (una botanica) al riso: si tratta di uno starter tradizionale realizzato con farina di riso e corteccia di Albizia (pianta molto diffusa in Asia meridionale) grattugiata che avvia la fermentazione la quale dura uno o due giorni a seconda della stagione.

Un rituale culturale ricco di simboli

Quando il riso comincia a rilasciare del liquido zuccherino, questo viene preso e trasferito all’interno di coni chiamati ‘khulu’ i quali vengono sistemati sopra a dei recipienti che dovranno raccogliere tutto il liquido che cola. Una volta compiuta la colatura, la bevanda tradizionale è pronta per essere servita e consumata.

Viene realizzato in occasione di feste religiose, oppure di matrimoni e funerali, per essere bevuto durante i pasti; quando nasce un bambino inoltre il padre bagna le labbra del figlio con delle gocce di questo particolare vino per tenerlo lontano dalla cattiva sorte.

Distillati dalle canne da zucchero di Negros

Un altro prodotto tipico delle Filippine, contrariamente a quanto molti potrebbero pensare, sono i distillati, in modo particolare quelli realizzati nell’isola di Negros dove vi sono alcune delle coltivazioni di canna da zucchero più importanti di tutta l’Asia: motivo per cui questo territorio è conosciuto anche come ‘sugarlandia’. Il ciclo di produzione della pianta è di 18 mesi e viene coltivata durante tutto l’anno in modo da avere sempre del prodotto da distillare: una volta tagliata, la si trasporta alla distilleria dove deve essere lavorata il giorno stesso o, al massimo, la mattina seguente.

L’arbusto viene quindi macinato e il suo succo inizia spontaneamente, senza bisogno di additivi, una lunga fermentazione (che dura almeno cinque giorni) in tini di legno o di metallo: finita questa fase, inizia la distillazione in alambicchi di rame alimentati dagli scarti della pianta. Il liquido, puro e trasparente, esce dall’alambicco a circa 40 gradi e a tale gradazione viene sia conservato che consumato.

Il colore limpido con cui si presenta il prodotto finale esprime le caratteristiche aromatiche vegetali delle varietà di canna da zucchero utilizzate: spiccano note dolci e vanigliate, di caramello e di scorza d’arancia accompagnate da profumi di ananas e cognac.

Il cacao: un’eredità spagnola

Un’altra coltivazione tipica delle Filippine è quella delle fave di cacao, qui introdotta dai religiosi spagnoli a partire dal XVI secolo: questo ha fatto dell’arcipelago asiatico il primo Paese al mondo in cui la coltivazione di questo albero, importato dalla regione messicana del Soconusco, ha preso piede al di fuori delle Americhe.

Oggi il frutto tropicale localmente viene usato per la realizzazione di una bevanda calda (la ‘tsokolate’), oppure, soprattutto la qualità denominata ‘criollo’, è trasformata in una granella o polvere con cui realizzare alcune ricette tipiche come gli involtini di riso rosso, cioccolato e latte di cocco ‘suman’.

Caffè di mais: il sinunog bugas

Con la farina di mais scottata infine nelle Filippine si ottiene un prodotto dal sapore di caffè. Per preparare il ‘sinunog bugas’ (ovvero il ‘caffè di mais’) si impiega una particolare varietà a chicco bianco che deve essere arrostita a fuoco medio-alto per circa 30 minuti, fino a quando non diventa di colore marrone scuro: terminata questa operazione, si deve eliminare il sedimento che si è formato sul fondo del bollitore e si può servire con zucchero o crema di latte.

Un patrimonio liquido che racconta l’anima delle Filippine

Queste quindi sono le bevande maggiormente diffuse e apprezzate nelle Filippine, alle quali se ne aggiungono altre ottenute dalle numerose tipologie di piante tropicali presenti nella regione, senza dimenticare le coltivazioni di cereali da cui si ricavano le materie prime per produrre le diverse birre artigianali protagoniste della ‘craft beer revolution’ filippina.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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