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Coltivare le viti senza portainnesto americano? La proposta

La proposta viene da un gruppo di viticoltori che richiedono il riconoscimento dell’Unesco per questa operazione: “coltivare vite senza portainnesto americano significa salvare un patrimonio”. 

Tornare a coltivare le viti di 200 anni fa per avere i frutti che si avevano una volta e dunque anche i vini col sapore di un tempo. È una proposta che viene da un gruppo di viticoltori che da anni ha scelto di coltivare la vite senza portainnesto e chiede anche il riconoscimento dell’Unesco per questa operazione, che di fatto è un’azione di conservazione di un patrimonio genetico, ma anche di un gusto che rischia di perdersi.

È una cosa che i più giovani e i meno esperti del settore possono non sapere, ma nel mondo della vite e quindi del vino, c’è stato un prima e un dopo (o anzi per la verità probabilmente anche diversi prima e dopo legati a vari parassiti), ma uno dei più significativi fu quello legato all’avvento della fillossera.

La fillossera è un piccolo insetto proveniente dagli Stati Uniti che attacca le radici delle viti in particolare e circa alla metà del 1800, diffondendosi a macchia d’olio in tutta Europa, mise in pochi anni in grave pericolo tutta la viticoltura Europea.

Uva, mondo vitivinicolo

Il problema fu risolto in qualche tempo attraverso l’introduzione di un portainnesto proveniente dagli Stati Uniti e dunque naturalmente resistente alla fillossera; un’operazione che ha però cambiato per sempre il frutto della vite. Da qui l’opposizione di alcuni viticoltori che hanno deciso di continuare a coltivare la vite senza portainnesto, sfruttando varietà più resistenti o semplicemente accettando il rischio.

A capo del movimento che si è andato rinfoltendo negli ultimi anni c’è Loic Pasquet viticoltore francese che, rappresentando tutti i vignaioli che seguono questa filosofia, conta di riuscire ad imporre la valorizzazione di questa scelta. Suo cavallo di battaglia il fatto che “coltivare vite senza portainnesto americano significa salvare un patrimonio; significa salvare vitigni autoctoni e consentire la reale espressione culturale di un luogo attraverso la produzione del vino che questo ha sempre prodotto”. L’auspicio di Pasquet e del gruppo che guida, espresso in un recente convegno a Montecarlo, è quello di arrivare presto a una legislazione che inquadri questi produttori e possa rendere loro giustizia anche a livello di riconoscimento legislativo e commerciale.

Redazione ApeTime
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