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La storia del Kvass, la birra tradizionale dell’Europa orientale

Cos’è il Kvass, ovvero la birra tradizionale dell’Europa orientale?

In un articolo pubblicato recentemente ci siamo soffermati a raccontare la storia e le caratteristiche peculiari del ‘sahti’, ovvero la birra tradizionale finlandese per eccellenza, la cui ricetta prevede anche l’impiego di un ingrediente quale il decotto di ginepro caldo.

In queste righe invece parleremo della millenaria storia del ‘kvass’, ovvero la birra a base di pane nero o di segale che ancora oggi è una delle bevande preferite nell’est Europa (dai Balcani fino agli Urali), specie nei mesi estivi, per le sue qualità rinfrescanti e dissetanti.

Le sue origini sono avvolte nel mistero, anche se tracce di una primordiale versione possono essere trovate in tempi remoti, a cominciare dall’antico Egitto. Nel V secolo a.C. invece Erodoto menzionava una bevanda chiamata ‘zyphos’: veniva preparata lasciando delle croste di pane in ammollo e la fermentazione risultante dava vita ad  un prodotto alcolico molto simile.

Non mancano inoltre racconti popolari circa la sua nascita: uno dei più noti narra che la ricetta sia frutto dell’errore di un contadino che cercò di ricavare una farina dal grano bagnato. L’agricoltore provò a preparare del pane, ma senza successo: ottenne invece il malto che, con l’aggiunta di un po’ di acqua, fermentò dando vita al primo kvass della storia.

Sembra quindi che, originariamente, venisse preparato in varie parti del mondo: in seguito però, a causa di una combinazione di diversi fattori (come la disponibilità di una vasta gamma di ingredienti e condizioni climatiche favorevoli) ha messo radici qui diventando una delle bevande tradizionali per eccellenza dell’Europa orientale.

kvass, birra

La prima menzione scritta del kvass in queste terre ad essere giunta fino a noi risale ad una cronaca del 996: per ordine del principe Vladimir, i cristiani appena convertiti venivano accolti con “cibo, miele e kvass”. Oltre dieci secoli di storia nel corso dei quali sono state create molteplici versioni della bevanda:  dolce, acida, densa, frizzante, alla menta, con l’uva passa, alla mela, alla pera, al miele, al pepe, al rafano.

Per questo motivo, all’inizio del XIX secolo, ne esistevano più di mille tipologie, fra le quali quella maggiormente diffusa e apprezzata era quella a base di barbabietola che, ancora oggi, viene realizzata con o senza lievito: il secondo è il metodo più antico e richiede una fermentazione più lunga di cinque giorni.

La tecnica per la preparazione di questa specifica bevanda è molto semplice e veloce, motivo per il quale viene spesso realizzata in estate per combattere la sete. Occorre una barbabietola da zucchero abbastanza grande e ben matura: la tipologia scura, inoltre, garantisce un risultato migliore.

Come primo passaggio, la pianta viene passata in forno all’interno di una pentola di ghisa per alcune ore, fino a quando non assume una consistenza simile a quella delle prugne secche: viene quindi messa a bollire in modo da ottenere un decotto molto compatto.

Bisogna prestare particolare attenzione a scegliere acqua di buona qualità: oggi l’ideale è usare acqua minerale di fonte o di bottiglia, mentre se si usa quella dell’acquedotto deve essere priva di cloro. Le barbabietole cotte, successivamente, sono riposte in un contenitore, preferibilmente di argilla (il kvass preparato in una brocca di terracotta ha un sapore migliore rispetto a quello conservato nel vetro).

La brocca, inoltre, deve essere riempita in modo tale che in superficie rimanga un po’ di spazio, necessario per la fermentazione e deve essere aggiunta un po’ di patata bollita grattugiata che servirà come fermento: questo ultimo passaggio è indispensabile soprattutto nella ricetta che non prevede l’utilizzo del lievito.

Il kvass, infine, deve rimanere in una stanza calda per 4-5 giorni, ovvero fino a quando sulla superficie non smette di formarsi una schiuma molto densa che deve essere periodicamente rimossa dal contenitore: a questo punto è necessario filtrare il kvass con una garza per ottenere il prodotto finale che si presenta di color rubino con un aroma piacevolmente acido.

Mentre questa tipologia di kvass oggi viene proposta anche da diversi piccoli birrifici che, durante i mesi estivi, la vendono in appositi chioschi dislocati in città e paesi dell’Europa orientale, una delle versioni un tempo più rinomate, attualmente, si produce solo fra le mura domestiche: si tratta della bevanda bianca ai sette malti.

Il suo nome, ‘shti’ (da non confondere con il termine ‘sahti’ che indica la birra tradizionale finlandese), deriva dall’antica parola russa e slava “S’ti” che significa bevanda nutriente e fermentata, ma anche zuppa condita con cavolo e altre verdure: viene prodotta utilizzando diversi tipi di farina che vengono mescolati con acqua bollente e lasciati raffreddare per qualche ora.

Successivamente, si aggiunge acqua fredda, si lascia decantare, si filtra attraverso             un setaccio e si versa in un barile: alla bevanda, che inizia a fermentare, vengono aggiunte uva passa e zucchero per aumentare la saturazione di anidride carbonica e far proseguire la fermentazione che, trascorsi cinque giorni, consente di ottenere il prodotto finale.

Il kvass, quindi, è la bevanda tradizionale per eccellenza dell’est Europa: nel corso dei secoli, se ne sono affiancate altre, ma, senza dubbio, è questa antenata delle moderne birre a rivestire un ruolo centrale nella storia e nella cultura delle diverse popolazioni che abitano questa macro area del vecchio continente.

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