HomeCronacaPrenotazione al bar: perché in Italia l’opportunità diventa boomerang

Prenotazione al bar: perché in Italia l’opportunità diventa boomerang

La pandemia ha messo in luce un altro limite tutto italiano. Non siamo rispettosi del tempo e del lavoro altrui. No, non sto facendo filosofia. Il punto è che a causa di questo difetto condiviso da molti, i locali che hanno tentato di introdurre la prenotazione obbligatoria hanno dovuto spesso cambiare strategia.

Antonella Benedetto

Da Nord a Sud lo scenario è lo stesso: la prenotazione al bar funziona poco. In ogni caso, non bene come potrebbe.

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Twist del Southside del Moonshine

“Non so che pensare. Personalmente, pur senza imporre l’obbligo, ho comunque cercato di abituare i clienti alla pratica della prenotazione. Il problema è che se anche prenotano, purtroppo, poi all’ultimo minuto in tantissimi disdicono. La ragione? In genere, mi sento dire che uno di loro ha o teme di avere il Covid. Poco prima di Natale, qualcuno si è giustificato dicendomi che non si sentiva sereno, perché temeva di ammalarsi e di contagiare i genitori anziani al pranzo di Natale. Mah! Che dire? Il risultato è che, a volte, ci si trova all’ultimo minuto a dover gestire una spesa superiore alle reali esigenze. E, anche se non accade, è molto stressante”, sbotta Antonella Benedetto, titolare del Moonshine di San Vito (Bari).

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Cristian Lodi

Dalla Puglia alla Lombardia. Cristian Lodi, titolare del Milord di Milano, sorride con sguardo ironico. “La prenotazione al cocktail bar? Funziona il giusto. Di certo, tra il fatto che non siamo abituati a riservare il tavolo per bere un drink, gli effetti psicologici dei tanti mesi di coprifuoco e dei “bollettini di guerra” su contagiati e ricoverati e la tendenza a dare poco valore alla prenotazione, non viene presa seriamente dai clienti. Personalmente, non di rado ricevo disdette a poche ore dall’appuntamento”.

Nicole Cavazzuti
Nicole Cavazzuti
Mixology Expert è giornalista freelance, docente e consulente per aziende e locali. Ha iniziato la sua carriera con il mensile Bargiornale e, seppur con qualche variazione sul tema, si è sempre occupata di bar, spirits e cocktail. Oggi scrive di mixology e affini su VanityFair.it e Il Messaggero.it. Chiamata spesso come giudice di concorsi di bartending, ha ideato e condotto il primo master di Spirits and Drinks Communication. Da novembre 2019 è la responsabile della sezione bere miscelato del nostro ApeTime Magazine. Per 15 anni è stata la prima firma in ambito mixology del mensile Mixer, organo di stampa della FIPE, per il quale ha ideato diverse rubriche, tra cui il tg dell'ospitalità (Weekly Tv) e History Cocktail, ancora attive e oggi in mano agli ex colleghi di redazione.

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