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Birra irlandese: nascita e sviluppo di una delle scuole brassicole più rinomate al mondo

Viaggio nella storia e nell’evoluzione della birra irlandese, tra tradizione, cultura e innovazione

La birra irlandese tra antiche radici e influenza celtica

Nuovo appuntamento alla scoperta dei Paesi che hanno fatto e fanno la storia della birra: in occasione dell’ultima puntata ci siamo soffermati a parlare del Belgio, dove tutto ruota intorno alla filiera della bevanda. Qui infatti, nel corso dei secoli, si sono sviluppate un’infinità di competenze legate anche alla coltura dei cereali, necessari per produrla, in ciascuna piccola area delle Fiandre e della Vallonia. Il medesimo discorso vale per l’Irlanda e la birra irlandese.

La storia che lega la birra a questa terra è infatti antica di secoli: furono i Celti a far spazio nella propria cultura alla bevanda, proveniente dall’oriente, che chiamavano “corim” e consumavano così com’era oppure dopo averla aromatizzata con miele ed erbe selvatiche.

Cosa comune a molti altri Paesi europei, fra cui lo stesso Belgio, anche in Irlanda la produzione di birra, a partire dall’alto Medioevo, divenne competenza pressoché esclusiva delle corti nobiliari e dei monasteri: un’attività non certo secondaria, come non secondaria era l’importanza che questa bevanda rivestiva già allora a tutti i livelli della vita sociale.

Ne è testimonianza, ad esempio, il ‘Crìth Gablach’, ovvero l’antico poema-legge del VII sec. a.C. che obbligava il signore a bere una birra con la servitù una volta alla settimana: in questo antico documento era stabilito addirittura il giorno, ovvero la domenica. Nobili e signori inoltre godevano di cattiva reputazione se non accoglievano i propri ospiti con quantitativi della bevanda sufficienti a soddisfare la loro sete.

Cottage industry e ale wives: le birraie di casa

Sfera nobiliare a parte, la birra era già ben radicata nella cultura popolare dato che l’attività brassicola aveva trovato una nuova dimensione nella ‘cottage industry’ che si era diffusa rapidamente in tutta l’isola: si trattava di produzioni casalinghe che, in una stanza della casa, venivano servite al pubblico dal mastro birraio di turno.

Anzi, dalla mastra birraia dato che la produzione della birra, solitamente, era competenza delle donne, scherzosamente ribattezzate ‘ale wives’ (‘mogli di birra’), dato che veniva considerata un’attività domestica come tante altre, come preparare il pane o la cena.

La fama di alcune di queste birre, generalmente scure, corpose e poco luppolate, si diffuse oltre le mura domestiche e fecero la loro comparsa le prime ‘ale house’ (‘casa della birra’), ovvero delle autentiche antenate di quelli che oggi sono i pub: ne rivestivano infatti il medesimo ruolo di luogo di aggregazione sociale (una di queste, nel 1840, sarebbe diventata il celebre ‘Temple bar’ di Dublino).

La rivoluzione industriale della birra in Irlanda

Questo sistema caratterizzò la produzione ed il consumo di birra più o meno fino alla metà del ‘700, quando nacquero le prime grandi industrie birrarie irlandesi. La produzione su larga scala mise ben presto in crisi la ‘cottage industry’ che cedette il passo a chi nella bevanda, avendone le possibilità, investiva in maniera consistente le proprie fortune.

A livello produttivo, la prima grande rivoluzione birraria nel mondo anglosassone fu, all’inizio del XVIII secolo, la nascita delle porter che, inizialmente, erano ottenute dalla miscelazione di tre differenti stili brassicoli: una brown ale giovane, una pale ale e una brown ale invecchiata. Riscossero grande successo soprattutto tra i facchini, i porters appunto, da cui sembra derivi il nome.

Tali birre trovarono in quello irlandese il principale mercato di riferimento: le versioni più forti di questo stile erano chiamate ‘stout porter’, poi semplicemente stout. Verso la metà del ‘700 un quarto di tutte le birre vendute e consumate in Irlanda erano porter provenienti dall’Inghilterra.

Guinness e la nascita della Irish Dry Stout

Questo il motivo per il quale era sempre più dura per i birrai locali competere con le birre scure inglesi: a questo si aggiungevano delle tasse piuttosto elevate imposte sulla produzione dal governo di Londra (tassazione che fu definitivamente abolita, dopo non poche battaglie, nel 1795) ed il fatto che le porter avevano dalla loro una costanza qualitativa sconosciuta alle piccole produzioni irlandesi.

In quegli anni mosse i primi passi nel mondo della birra Arthur Guinness che, nel 1759, fondò nella periferia di Dublino quella che sarebbe diventata un’autentica istituzione irlandese: lo fece in un periodo storico nel quale, come detto, l’influenza dello stile porter era molto alta e fu a questo prodotto, così apprezzato dal mercato interno, che le principali birrerie dell’isola rivolsero la loro attenzione.

Lo fece Guinness e lo fecero altri personaggi come William Beamish e William Crawford, due commercianti di Cork che, nel 1792, aprirono il Cork Porter Brewery: si tratta del birrificio che, agli inizi dell’800, si affermò come il più importante d’oltremanica con oltre 10.000 ettolitri di birra venduti all’anno (a fronte dei circa 6.500 immessi sul mercato dalla Guinness).

La genesi di uno stile unico e simbolico

I produttori irlandesi, in realtà, non si limitarono ad adottare lo stile porter riproducendolo in maniera meccanica, con l’unico obiettivo di aumentare i propri profitti: prendendo ispirazione da questo infatti s’inventarono uno stile tutto loro, ovvero l’Irish Dry Stout.

Si trattò di una mossa studiata per ovviare all’ennesima tassa sul malto decisa dal governo inglese: i mastri birrai d’Irlanda quindi, a partire dalla fine del ‘700, cominciarono ad utilizzare anche orzo non maltato e torrefatto. Il nuovo ingrediente conferiva alle bevande brassate un profilo aromatico unico, che sarebbe diventato l’odierno tratto distintivo delle autentiche birre dell’isola di smeraldo.

Birra irlandese: patrimonio vivente della cultura europea

Questi quindi i principali passaggi che hanno portato alla nascita dell’universo birrario d’Irlanda: un mondo del quale vi sono un’infinità di aspetti da raccontare dato che, come noto, si tratta di una delle culle della storia e dell’arte brassicola universale moderna.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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