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Birra pils: lo stile più frainteso della storia brassicola

Da simbolo della tradizione europea a vittima dell’industria: la parabola della birra pils tra declino qualitativo e battaglie legali

La birra più amata del mondo? La Lager, ma la vera regina doveva essere la Pils

La birra pils: come mai uno dei più rinomati stili brassicoli da decenni, è maltrattato, tanto da essere finito al centro di una disputa legale? Fra tutte le tipologie birrarie del mondo la Lager è, senza dubbio, quella più rinomata e maggiormente apprezzata: non a caso infatti detiene il 90% del mercato globale della bevanda. Un successo che, da quando è stata inventata (in Germania nel 1500 circa), è cresciuto con costanza, senza trovare ostacoli sulla sua strada. L’esatto contrario di quanto accaduto, specie dagli anni ’80 in poi, alla Pils, ovvero la tipologia di birra che più di tutte aveva avvicinato le quote di mercato raggiunte dalla Lager, attestandosi al 75%.

Una volta ottenuto quel traguardo infatti è iniziato un lungo e inesorabile declino che ha trovato il suo apice in un’aspra causa legale che coinvolge sia gli Stati Uniti che l’Europa: ma come si è arrivati a questo? Una discesa verso il baratro qualitativo davvero sorprendente; basti infatti pensare che una volta, quando si pronunciava la parola ‘birra’, balzava subito alla mente proprio l’immagine della ‘Pils’: dorata, col suo cappello di schiuma e quel tocco di amaro dato dal luppolo che spesso, ancora oggi, divide gli appassionati della bevanda.

Un capolavoro europeo nato dalla disperazione

Si tratta inoltre di uno dei primi stili moderni, che, per decenni, ha fatto dei quattro ingredienti classici la propria forza: l’acqua dolce, quella tipica di Plzen in Repubblica Ceca, il malto della Moravia e il celebre luppolo della qualità Saaz che tutt’oggi viene coltivato in Boemia. Solo il lievito, l’ultimo elemento previsto dalla ricetta tradizionale, non è originario di quest’area d’Europa: è stato infatti importato qui da Josef Groll, il mastro birraio bavarese che ha inventato la Pils.

Questo uno dei motivi per cui la sua paternità, in un primo tempo, è stata contesa fra Germania e Repubblica Ceca e Germania. Ma andiamo per ordine e iniziamo tornando alla nascita della Pils. Era il 1842 quando nella cittadina di Plzen la pessima qualità della birra prodotta dai birrifici locali diede il via addirittura ad una rivolta: in segno di protesta vennero riversati nella piazza principale svariati fusti di birra.

L’associazione dei birrai locali decise così di correre ai ripari, arrivando ad individuare in Joseph Groll, il birraio che sarebbe diventato tra i più iconici della storia brassicola europea, come colui in grado di risollevare le sorti della bevanda da sempre amata dalla popolazione di quelle regioni. Il successo della nuova ricetta birraria fu immediato: mai prima infatti si era vista una birra così limpida e dal profilo aromatico semplice e pulito e in più, con la diffusione dell’utilizzo dei bicchieri di vetro e non più di ceramica era il prodotto perfetto da mettere in boccali trasparenti.

Dal successo europeo al tradimento dell’industria

Lo stile si diffuse subito nella vicina Germania e in tutta l’Europa e, seppur con le proprie varianti, divenne popolarissimo: questo grande successo avrebbe fatto in modo che l’industria se ne appropriasse subito facendo suo lo stile, creando però un prodotto molto lontano da quello che era originariamente.

Col passare del tempo, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, è stato completamente stravolto, appiattito, svilito: stile che negli USA (dove i grandi marchi del settore, avendo annusato il profumo di grandi profitti hanno iniziato a produrlo massicciamente) si è poi trasformato in una generica ‘light beer’ (birra leggera) e questo ne ha peggiorato ancora di più qualità e reputazione.

Una valutazione negativa alla quale, sempre negli Stati Uniti, hanno contribuito anche alcune tecniche di servizio della bevanda agli antipodi di ogni regola corretta: nei pub e nelle birrerie d’oltreoceano infatti, ad esempio, quelle alla spina vengono servite senza schiuma, con il bicchiere colmo fino all’orlo dato che, contrariamente, il consumatore americano penserebbe di aver subito un furto.

Pils sotto processo: la lunga battaglia per il nome Budweiser

A rendere ancora più nebulosa la storia della Pils, a partire dalla fine degli anni ’70, è arrivata la disputa legale tra Budweiser e Budweiser Budvar sull’utilizzo del nome, che dura ancora oggi (come dimostra la sentenza della Corte di Cassazione del 9 luglio 2024): è l’esempio più chiaro di come l’industria si sia arrogata questo stile.

La disputa legale riguardante il marchio ‘Budweiser’, in sintesi, è una controversia che vede contrapposte la birreria ceca Budejovicky Budvar e la società americana Anheuser-Busch InBev, produttrice della birra Budweiser: la questione ruota attorno alla proprietà del marchio e alla sua relazione con la città ceca di České Budějovice, storicamente nota per la produzione di birra Pils. Anheuser-Busch InBev rivendica il diritto di utilizzare il marchio in Nord America, mentre Budejovicky Budvar sostiene di avere questa facoltà in gran parte dell’Europa, Italia compresa.

I tre livelli della giustizia italiana, nello specifico, a partire dal 2013, hanno sempre autorizzato il solo birrificio Budejovicky Budvar ad impiegare il nome ‘Budweiser’ nel nostro Paese, ma questo non ha fermato i ricorsi del colosso americano.

Riscatto artigianale: la nuova Pils torna protagonista

Pils che quindi, per diverse ragioni, in un recente passato, è stato sinonimo di birra priva di aromi e profumi gradevoli e dunque di bassa qualità, anche a causa dell’ampio utilizzo di ingredienti meno costosi quali il mais ed il riso: motivo per cui questo stile brassicolo era snobbato sia dai consumatori che dai produttori artigianali.

Oggi il trend però sta cambiando e molti birrifici si cimentano nella sua realizzazione, che non è facile, per restituirle la reputazione più che positiva che aveva al momento della sua nascita e nel suo primo secolo di vita: delicato e leggero ma al tempo stesso deciso e con una sua identità aromatica precisa che non lascia margine di errore al birraio.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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