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Una scoperta rivoluzionaria per il mondo della birra

Una scoperta rivoluzionaria per il mondo della birra

Eliminare la bollitura del mosto è possibile: la scienza italiana apre nuove frontiere alla produzione birraria

La sostenibilità spinge l’innovazione nella filiera brassicola

La produzione birraria, specie quella di dimensioni industriali, risulta sempre più impegnativa sia per quanto riguarda la sostenibilità economica che quella ambientale: questo il motivo per cui sono sempre di più le aziende del settore che si stanno attivando per ridurre i costi e diminuire le sostanze inquinanti che vengono disperse nell’ambiente. Si cerca di raggiungere tali obiettivi utilizzando fonti di energia rinnovabili, riducendo la produzione dei rifiuti e optando per materiali di riciclo.

Alcuni produttori, inoltre, si stanno affidando all’agricoltura sostenibile per coltivare gli ingredienti della birra come il luppolo e il malto. Vi sono poi altre due voci assai importanti in termini di costi ed impatto sull’ambiente: la prima è l’indispensabile massiccio impiego di acqua (basti pensare che per ottenere un litro di birra ne occorrono dai sei agli otto litri); la seconda sono le emissioni di CO2.

Queste sono tutte le ragioni per cui è davvero molto importante la nuova scoperta scientifica arrivata grazie a uno studio realizzato a Firenze da un gruppo di ricercatori: se sarà possibile metterla in pratica su larga scala sarà una rivoluzione per quanto riguarda la riduzione delle spese e l’ecosostenibilità.

Una nuova tecnologia tutta italiana

Gli studiosi del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) della sede situata nel capoluogo toscano infatti hanno messo a punto una tecnologia che permette di ottenere il mosto di birra eliminando totalmente la fase della bollitura: questo comporta dei notevoli vantaggi in termini di risparmio energetico.

Il procedimento, che permette di limitare dell’80% il consumo di energia, si basa sull’applicazione della cavitazione idrodinamica, ossia un fenomeno di formazione, accrescimento e implosione di bolle di vapore in un liquido a temperature inferiori rispetto al punto di ebollizione.

Queste dinamiche sono in grado di generare dei microambienti caratterizzati da temperature localmente elevatissime e intense onde di pressione e getti idraulici, che possono intensificare e accelerare l’effetto di processi fisici, chimici e biochimici come l’evaporazione dell’acqua.

Un nuovo modo per eliminare difetti e migliorare qualità

La bollitura è una fase cruciale nella produzione brassicola ed è fondamentale per favorire l’eliminazione di alcune sostanze aromatiche indesiderate, che altrimenti andrebbero a rovinare il profilo del prodotto finito: questo è il caso delle fastidiose note di mais in scatola e di verdura bollita date da alcune componenti chimiche naturalmente presenti nei cereali, anche in quelli perfettamente coltivati e stoccati.

Il CNR come è riuscito quindi a superare questo problema dato che la sua tecnologia non prevede bollitura. Lo spiega il coordinatore dello studio Francesco Menguzzo: “La cavitazione idrodinamica permette di scaldare il mosto a 94°C raggiungendo tale temperatura in tempi piuttosto brevi”. La ricerca infatti dimostra che, diversamente da quanto avviene con le produzioni tradizionali, che richiedono una bollitura a 100°C per 90 minuti, con questo metodo è sufficiente mezz’ora: questo garantisce l’abbattimento dei tempi di produzione di un terzo e di oltre l’80% del consumo di energia.

“Oltre a questo, la cavitazione elimina le particelle di dimetilsolfuro ovvero di un composto che conferisce odori e sapori sgradevoli alla bevanda, con una velocità tre volte maggiore rispetto a quanto ci saremmo inizialmente aspettati” ha aggiunto Monguzzo.

Attraverso questo metodo infatti la sostanza viene immediatamente espulsa e alla fine del processo l’amaro dei luppoli si trasferisce al mosto modificandone il colore: solo grazie a tale metodologia, che concentra un grande quantitativo di energia, è stato possibile ottenere questi risultati, come hanno spiegato i ricercatori.

Un progetto decennale che guarda al futuro

Il progetto, che potrebbe rivoluzionare la produzione brassicola, è il risultato di un lavoro quasi decennale: il primo brevetto è stato depositato nel 2016 e il prototipo dell’impianto esiste da alcuni anni ed ha già ampiamente fornito i risultati che gli studiosi si erano posti come obiettivo.

Lo spiega la ricercatrice del CNR Maria Basile: “Fin dall’inizio abbiamo sostenuto con convinzione lo sviluppo delle ricerche relative a questo brevetto e i risultati raggiunti ci danno ragione: la possibilità di utilizzare soltanto energia elettrica generata da fonti rinnovabili rappresenta una svolta e un impulso concreto alla riduzione delle emissioni di CO2 durante la produzione in uno dei settori alimentari più energivori”.

Impatti attesi per il mondo birrario

Una novità davvero importante se si pensa anche al fatto che quella della bollitura tradizionale è la fase durante la quale viene aggiunto il luppolo, pianta amaricante per eccellenza: per questo motivo solo il fatto che i ricercatori siano riusciti ad eliminare l’amaro in eccesso a temperature assai inferiori e, al tempo stesso, a ottenere delle birre qualitativamente buone potrà avere delle ripercussioni più che positive soprattutto sul lavoro dei birrifici medio-piccoli.

Questo anche per il fatto che la metodologia della cavitazione idrodinamica non solo consente di eliminare comunque tutti i difetti che il prodotto finito potrebbe presentare, ma mantiene anche inalterate le medesime caratteristiche qualitative che presentano di norma tutti gli stili e i sotto stili brassati.

Una rivoluzione pronta al mercato

Non resta quindi che vedere quando la nuova tecnologia inizierà ad essere applicata: nel frattempo il brevetto è stato acquistato dall’azienda Cavitek, una start up nata proprio per promuoverla e renderla disponibile sul mercato. Un altro passo per quella che promette di essere una vera e propria rivoluzione nel mondo della birra.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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