Le grandi protagoniste dell’autunno insieme ai funghi sono le castagne; una volta i castagneti sui nostri monti erano coltivati e curati attivamente tutto l’anno perché in varie zone d’Italia erano un vero e proprio “albero del pane”.
Dove il grano infatti non poteva crescere per questioni climatiche, le castagne venivano raccolte, consumate e anche essiccate, e con esse si produceva una farina che poi durava tutto l’anno ed era mischiata e scambiata con quella di grano per fare il pane o veniva usata anche per produrre un alimento tipico di cui parleremo oggi: il castagnaccio.
Questo prodotto viene automaticamente associato alla Toscana, e in effetti in questa regione vi è una grande tradizione, ma di fatto qualcosa di simile era prodotto in tutte le regioni in cui la castagna assumeva un ruolo importante nell’alimentazione contadina.
Nel cinquecento per la prima volta il castagnaccio viene citato da un padre agostiniano in un suo testo, ma la sua origine pare possa essere ricondotta a un tale Pilade da Lucca che viene nominato nel “Commentario delle più notabili et mostruose cose d’Italia et altri luoghi” scritto da Ortensio Orlando e pubblicato a Venezia nel 1553. Tra 800 e 900 però si ebbe la vera e propria diffusione e anche il suo arricchimento con uvetta, pinoli, e rosmarino. La preparazione è molto semplice: bisogna mischiare acqua e farina di castagne in una ciotola fino a farle diventare una crema omogenea, a quel punto occorre inserire uvetta e pinoli (e secondo alcune ricette anche noci), aggiungere il sale e quindi colare in una teglia guarnendo superficialmente con un’ulteriore piccola quota di pinoli, uvetta e volendo anche rosmarino. Quindi la cottura in forno preriscaldato a 200 gradi per circa 30 minuti. Quello che ne esce è una sorta di torta focaccia marrone scuro compatta ma crepettata in superficie, che piace tanto a molti ma che da sempre non incontra il gusto di tutti.