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Le cause della crisi della birra artigianale britannica

Quali le cause alla base della crisi della birra artigianale britannica?

Uno degli argomenti dei quali abbiamo parlato in più occasioni su questa rivista è la crisi senza fine che stanno attraversando i pub inglesi, conosciuti anche come ‘public house’: un fenomeno di grande importanza dato che questi luoghi, soprattutto un tempo e nelle zone rurali, costituivano una vera e propria istituzione in tutta la Gran Bretagna.

La crisi del settore non rappresenta una novità, ma gli ultimi dati dipingono uno scenario da brividi: in un decennio infatti hanno chiuso i battenti oltre 11mila di queste attività (un crollo del 23%: da 50mila a 39mila circa). Un fenomeno al quale, a partire dal 2020, se ne è aggiunto un altro altrettanto preoccupante per la birra d’oltremanica: la crisi dei birrifici artigianali.

L’epoca dei prodotti di nicchia qui infatti sembra essere giunta al tramonto e sono diverse le cause che hanno portato al verificarsi di questa situazione: di quali si tratta? In primis la Brexit, alla quale hanno fatto seguito (peraltro in un brevissimo arco di tempo: poco meno di cinque anni), la pandemia, la guerra in Ucraina e una nuova ondata di tasse.

Una crisi la cui gravità è stata sottolineata in un approfondimento del quotidiano ‘The Guardian’ che ha intervistato diversi produttori britannici per capire quali sono le principali problematiche di un settore che, solo qualche anno fa, ha vissuto la sua epoca d’oro.

Il primo dato emerso è che, rispetto al 2019, è stato registrato un calo di oltre il 10% della produzione media di birra da parte dell’associazione dei produttori artigianali, di cui oltre il 60% dei membri attualmente dichiara di avere come obiettivo la semplice sopravvivenza del proprio marchio, senza più pensare alla crescita del proprio volume di affari e tantomeno all’export, come avveniva in passato.

Dalla ricerca emerge inoltre che sono più di 100 le piccole aziende brassicole, distribuite su tutto il territorio nazionale, che sono state costrette a chiudere i battenti negli ultimi 18 mesi, colpite dalla combinazione dei fattori precedentemente citati a cui vanno aggiunte le recenti modifiche alle leggi riguardanti le accise sulla birra: dal primo agosto, in Gran Bretagna, sono infatti entrate in vigore le nuove imposte sulla bevanda, che prima godeva di un regime fiscale agevolato.

La prima conseguenza è stata un aumento del prezzo medio di ciascun singolo prodotto (del 10% circa), con gravi ricadute su tutte le birre artigianali e, in modo particolare, su quelle più forti e alcoliche: queste infatti, già di base, partono svantaggiate dal fatto che oltremanica, da sempre, sono maggiormente apprezzate e vendute quelle con una bassa gradazione.

birra inglese

Un altro dato che evidenzia la gravità della situazione è quello riportato da una società di contabilità: questa ha dichiarato che 45 piccoli produttori di birra che aveva fra i suoi clienti sono stati messi in liquidazione, mentre molti altri sono già stati venduti ai grandi produttori del settore.

Steve Dunkley, fondatore del birrificio Beer Nouveau di Manchester, dopo aver monitorato la chiusura delle attività simili alla sua durante tutto il 2023, ha spiegato al Guardian che sono 83 quelle che hanno cessato di esistere durante lo scorso anno e almeno 33 quelle chiuse negli ultimi dieci mesi.

I piccoli produttori faticano quindi sempre di più a sopravvivere: questo contrariamente a quanto avviene per le aziende di grandi dimensioni (come Brewdog) che, negli ultimi anni, hanno registrato aumenti delle vendite fino al 25% circa.

Cos’è successo? I birrifici più grandi, con molte più risorse economiche a disposizione, hanno iniziato a proporre ai proprietari dei pub (che, come visto, a loro volta stanno affrontando delle enormi difficoltà) birre meno care in cambio dell’esclusiva soprattutto sulle spillatrici: questo si è tradotto in minori possibilità di commercio per le referenze dei piccoli birrifici che avevano iniziato ad incontrare delle difficoltà in concomitanza con la Brexit.

Questo infatti è stato il passaggio chiave, come spiegano i produttori: fra questi, sempre il Guardian, ha intervistato Kimi Karjalainen e suo fratello Mark, proprietari della Bone Machine Brewing con sede prima a Pocklington, nell’East Yorkshire, e poi nella città di Hull.
I due hanno spiegato: “Con la scelta di uscire dall’Unione Europea, è diventato tutto insostenibile: eravamo una realtà produttiva fortemente orientata all’export e vendevamo in tutta l’Europa settentrionale, nei Paesi Bassi, in Italia e in Spagna e avevamo in programma di espanderci verso l’Ungheria”.

“Quello che noi producevamo per l’estero -hanno aggiunto- rappresentava il 40% circa del prodotto totale e più del 50% per quanto riguardava i ricavi complessivi. Tutto è scomparso con la Brexit e i nostri profitti sono diminuiti drasticamente: una situazione molto difficile, che accomuna quasi tutte le piccole realtà birrarie ancora in attività, soprattutto quelle che esportavano”.

Brexit, pandemia, guerra in Ucraina e maggiori tasse sono le cause principali dell’attuale situazione: a queste si deve aggiungere il fatto che i big del settore sono sempre più capillarmente presenti nei supermercati, come dimostra il fatto che anche nella grande distribuzione britannica vi è stato un incremento delle vendite dei loro marchi.

Un deciso balzo in avanti verso un mondo della birra d’oltremanica sempre più omologato: un brusco cambio di rotta dopo che la cultura della birra artigianale si era consolidata offrendo al consumatore la possibilità di scegliere fra tantissime versioni dell’antica bevanda.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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