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Birra artigianale e industriale: come distinguerle

Come mai è così difficile riconoscere la vera birra artigianale? Si tratta di un problema di comunicazione o di scarsa diffusione?

Versilia, Toscana, fine agosto 2019: sotto una delle migliaia di tende che puntellano quel lungo e sabbioso tratto di costa, un gruppo di ragazzi decide di brindare all’estate che ormai volge al termine. Fra le altre bevande disponibili, vi sono delle birre a marchio ‘Messina’, omonime della città in cui vengono prodotte.

Chi le aveva portate spiegava ai presenti che si trattava di un prodotto brassato di nicchia e artigianale: un affermazione, questa, che racchiudeva una verità e una falsità. Il vero risiedeva nel fatto che, allora, si trattava di un prodotto assai poco conosciuto (era stato lanciato sul mercato nell’aprile di quello stesso anno): l’errore consisteva nel definire il medesimo ‘artigianale’, essendo questo, ancora oggi, realizzato dal birrificio messinese di proprietà dell’Heineken (l’accordo per l’acquisizione è stato siglato il 20 aprile 2019).

Per la legge italiana, infatti, quando un’azienda birraria entra a far parte di un colosso del settore, come quello olandese, decade automaticamente la dicitura ‘artigianale’ per lei e i suoi prodotti: in teoria quindi, in Italia, non dovrebbero esserci dubbi nel distinguere questa tipologia di birra da quella industriale. Ma non è così semplice, anzi proprio questo aggettivo, nel tempo, ha creato non poca confusione.

Proprio per questo motivo, nel corso di alcuni degli incontri svoltisi durante l’importante fiera di settore ‘Eurhop’ di Roma, si è parlato proprio di questo vocabolo, che, nel nostro idioma, viene utilizzato per identificare la birra realizzata dai piccoli produttori indipendenti. Un termine che, per l’appunto, negli anni, si è caricato di tanti significati, non sempre positivi.

La salvaguardia dell’espressione ‘birra artigianale’ infatti non mette al riparo il settore da fraintendimenti: come ha rivelato uno studio dell’Istituto Piepoli, più di un consumatore su tre ritiene che facciano parte di tale categoria i prodotti di alcune multinazionali del settore, tra cui proprio la birra Messina, la Peroni, l’Ichnusa, la Moretti e la Leffe.

Una situazione che, con ogni probabilità, è dovuta ad una limitata conoscenza del settore birrario da parte della stragrande maggioranza degli italiani che consumano l’antica bevanda nonché alla scarsa presenza della vera birra artigianale nella grande distribuzione ed in una larga fetta dell’horeca, il canale che rifornisce bar, ristoranti, pub e ‘beer shop’.

Negli anni, inoltre, questa espressione si è caricata di sfumature negative, che hanno generato un certo pregiudizio fuori dall’ambiente degli appassionati: spesso oggi basta pronunciare quelle due parole per creare nell’interlocutore, soprattutto se un addetto ai lavori del settore gastronomico, una reazione immediata di rifiuto. Questo denota la pessima nomea costruitasi dalla birra artigianale fuori dalla sua nicchia di appartenenza.

Il tutto non si può ridurre ad una semplice questione di qualità: la reputazione che la birra artigianale ha sviluppato negli anni dipende da vari fattori, tra cui la bontà dei prodotti è probabilmente solo l’ultimo in ordine di importanza. In passato, infatti, la componente modaiola del fenomeno ha pesato non poco.

A questo si sono aggiunte la resistenza culturale verso una bevanda ancora lontana dalle abitudini italiche, il rifiuto prevenuto da parte di ristoratori e baristi  nell’inserirle nei propri menu, la percezione del reale valore del prodotto rispetto al suo prezzo e la superficialità di un certo tipo di comunicazione.

Hanno inoltre influito l’autoreferenzialità (a volte anche aggressiva) dell’ambiente, la scelta deliberata di ignorare certi canali distributivi e, ovviamente, anche la qualità di alcune birre, che, pur presentandosi come dei prodotti di alta qualità, risultavano. o  sono tutt’oggi, alquanto stucchevoli.

Al netto dei motivi che hanno portato a questa situazione, attualmente è innegabile che l’espressione ‘birra artigianale’ appaia compromessa, oltre a suonare vetusta: l’impressione è che molti birrifici, in maniera più o meno consapevole, l’abbiano abbandonata da tempo, o comunque la utilizzino piuttosto raramente.

Per questo motivo, sempre più spesso, i produttori impiegano la dicitura ‘birrificio indipendente’, sottolineando la necessità di focalizzarsi su qualcosa di concreto (l’autonomia societaria): una dicitura che oggi infatti campeggia sulle etichette delle referenze di numerose piccole realtà produttive.

In un mercato birrario in veloce trasformazione, si sente quindi l’esigenza di affrancarsi dalle valenze della dicitura ‘birra artigianale’ e la necessità  di ripartire da zero: questo anche solo parlando di ‘birra’, o, altrettanto semplicemente, di ‘birra buona’ per liberarsi dai pregiudizi e dai fraintendimenti del passato.

L’espressione, probabilmente, continuerà ad essere usata nell’ambiente birrario, magari sempre meno, ma da tempo non vi si fa più ricorso come se fossero due parole magiche, in grado di conquistare gli appassionati dell’antica bevanda e non solo: senza dubbio però questo è un tema importante all’interno di un settore che sta mutando rapidamente e che, in Italia, necessita di trovare nuove forme commerciali e comunicative.

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