HomeBirraLa birra vietata in Islanda: una storia lunga settantacinque anni

La birra vietata in Islanda: una storia lunga settantacinque anni

Il proibizionismo islandese tra politica, cultura e paradossi storici

Le origini del divieto e il legame con l’indipendenza nazionale

IN ISLANDA, PER QUASI SETTANTACINQUE ANNI, LA BIRRA E’ STATA VIETATA: QUALI LE MOTIVAZIONI ALLA BASE DELLA DECISIONE DEL GOVERNO ISLANDESE? Quando si parla di proibizionismo, comunemente, ci si riferisce al divieto di vendita e di produzione di bevande alcoliche in vigore negli Stati Uniti dal 1920 al 1933 che fu introdotto per ragioni etiche, con la convinzione che la scomparsa dell’alcol avrebbe risolto molti problemi sociali e incrementato l’economia.

Una scelta che però ebbe delle conseguenze diverse da quelle desiderate: favorì infatti il contrabbando ed il consumo illegale di alcolici, facendo la fortuna delle bande criminali: non per caso, quello degli anni ’20, soprattutto nelle grandi città, fu il periodo d’oro dei gangsters. Proprio l’incremento della criminalità fu una delle ragioni che, nel 1933, per volontà del neopresidente Roosevelt, portò all’abolizione del proibizionismo. Quello statunitense è quindi stato il caso più celebre di sempre, anche per l’importanza del mercato nazionale degli alcolici, ma non l’unico.

Se, ad esempio, alla fine degli anni ’80 vi foste trovati in Islanda e aveste voluto bere una birra, non avreste potuto: nel Paese scandinavo infatti, in quegli anni, era ancora in vigore il divieto di consumare la bevanda imposto più di settanta anni prima da una legge proibizionista. Il caso islandese fu di gran lunga il più longevo (almeno relativamente alla birra) e uno dei pochi esempi in vigore in Europa nel XX secolo e, come tutte le forme di proibizionismo, influenzò la quotidianità dei cittadini e provocò effetti distorti non prevedibili in origine.

Questo bando inoltre fu strettamente legato ai rapporti con gli altri paesi europei, soprattutto la Danimarca e la Spagna, sia per le sue origini che per la sua fine. La bevanda fu vietata dal primo gennaio del 1915 al primo marzo del 1989: in pratica una vita intera senza poter bere birra.!

Il ruolo della Danimarca e l’influenza del sentimento anti-alcol

Per comprendere le ragioni del proibizionismo islandese occorre tornare alla seconda metà del XIX secolo, quando nel Paese, all’epoca sotto il dominio danese (l’indipendenza sarebbe stata proclamata il 17 giugno del 1944 dopo un referendum), cominciò a svilupparsi un forte sentimento indipendentista. Tutto quello che era associato alla Danimarca veniva visto in maniera negativa, compresi diversi aspetti dello stile di vita dei suoi cittadini: il consumo di birra era uno di questi.

La bevanda nazionale danese, in Islanda, subì quindi un durissimo colpo, che favorì la popolarità dei movimenti anti alcol: il peso delle vicende politiche fu tale che nel 1908, quando i movimenti per l’indipendenza si rafforzarono, non fu difficile proporre un referendum per bandire dal Paese tutte le bevande alcoliche. La mozione passò con circa il 60% dei voti favorevoli (alle donne non era ancora concesso l’accesso al voto) e l’Islanda si preparò a rivoluzionare il suo rapporto con l’alcol. Secondo il testo del referendum il bando sarebbe partito il primo gennaio del 1915 e così fu.

Contrabbando, ricette mediche e contraddizioni

Come tutte le leggi proibizioniste, anche quella islandese favorì il contrabbando, la corruzione e la produzione domestica: non mancarono anche alcune conseguenze al limite del comico. I medici, ad esempio, cominciarono a prescrivere grandi quantità di bevande alcoliche come medicinali: il vino per i problemi del sistema nervoso, il cognac per le patologie cardiache e via di seguito.

Curiosamente però la birra non riuscì mai ad accreditarsi in tal senso, nonostante all’epoca fosse considerata una bevanda (anzi un alimento) nutriente e che, nel corso della storia, soprattutto in alcune regioni d’Europa (ad esempio nelle comunità monastiche francesi e belghe), ne fosse stato suggerito il consumo al posto dell’acqua, spesso portatrice di malattie come il colera e il tifo.

Le pressioni della Spagna e la riapertura parziale

Il proibizionismo islandese quindi nacque per motivi politici legati alla Danimarca, ma iniziò a scricchiolare per ragioni commerciali con la Spagna: nel 1921 il Paese iberico infatti minacciò di bloccare l’importazione del baccalà dall’Islanda, che all’epoca rappresentava il bene più redditizio per l’isola scandinava, se non fosse stato eliminato il veto sull’acquisto degli alcolici spagnoli e portoghesi. I politici cedettero alle pressioni del partner commerciale, assestando un primo duro colpo al proibizionismo locale: passarono ancora quasi quindici anni e ai cittadini islandesi fu sottoposto un nuovo referendum, che questa volta ebbe esito opposto, motivo per cui, nel 1935, il bando sulle bevande alcoliche terminò ufficialmente, ma non per la birra.

La birra ancora esclusa: lobby anti alcol e limiti normativi

Le lobby anti alcol riuscirono infatti a raggiungere un compromesso, escludendo dalla liberalizzazione le birre con un tenore alcolico superiore al 2,25%. La loro tesi era che la birra, più economica del vino e dei distillati, sarebbe stata consumata in quantità maggiori e avrebbe favorito la dissolutezza della società islandese. Questa impostazione durò per dei decenni, escludendo un’intera generazione dal normale rapporto con la bevanda mentre il contrabbando continuò in maniera regolare: chi voleva bere birra, prima o poi, trovava un modo per farlo. A partire dagli anni ’70, con l’aumento delle vacanze all’estero, inoltre gli islandesi scoprirono il fascino dei pub inglesi e delle birrerie europee, cambiando rapidamente opinione sulla birra.

Legalizzazione e nascita del Beer Day

I numerosi sondaggi condotti negli anni ’80 mostrarono infatti che circa sei islandesi su dieci erano favorevoli alla legalizzazione della bevanda, mentre il governo cominciò a rendersi conto del potenziale gettito fiscale di una rinnovata industria brassicola nazionale (oggi sull’isola sono attivi circa 60 birrifici di tutte le dimensioni). Dopo un lungo periodo di dibattiti pubblici, nel 1988 quindi il parlamento islandese approvò la legalizzazione della birra, che divenne operativa dal marzo dell’anno successivo: da allora, ogni primo marzo, in Islanda si festeggia il Beer Day (Bjórdagurinn) per celebrare la fine del bando sull’antica bevanda, sempre più apprezzata anche a queste latitudini.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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