L’evoluzione delle Bitter dalla tradizione inglese
Continua il nostro viaggio alla scoperta degli stili birrari più rappresentativi delle scuole birrarie del mondo che recentemente ha fatto tappa negli Stati Uniti: qui i birrai americani, come visto, hanno voluto dare alle loro birre un’impronta caratteristica che le differenziasse da quelle britanniche da cui hanno preso spunto nel corso del Novecento.
L’attore principale di questa operazione è stato il luppolo, del quale sono state messe in risalto le note aromatiche (assai apprezzate oltreoceano) per rivisitare alcuni degli stili inglesi più celebri, come quello delle Brown Ale ma soprattutto le English Pale Ale.
La nascita delle American Pale Ale e delle Bitter
È nata così la American Pale Ale, spesso designata con l’acronimo di APA, che della propria antenata riprende alcune caratteristiche organolettiche apportandovi però alcune variazioni sostanziali: tante e tali da averne decretato lo status di stile a sé stante.
Questa dunque una delle due figlie messe al mondo dalla English Pale Ale: l’altra, di cui parliamo in questo articolo, è la Bitter inglese e, per le sue caratteristiche, si tratta della sua erede più diretta.
Le origini storiche delle Bitter
La Pale Ale compariva sulla scena brassicola del Regno Unito attorno alla metà del XVIII secolo, contestualmente all’introduzione del forno a getto d’aria per l’essiccazione del cereale in sostituzione del sistema a fiamma diretta: in virtù di questo processo la bevanda presentava colori più chiari rispetto alla media ed, agli inizi del Settecento, veniva battezzata appunto Pale Ale.
La birra entrava sul mercato come una proposta inedita ma si ricavava il suo spazio assai lentamente per più ragioni, compresa quella dell’elevato costo al bancone, diretta conseguenza di quello di produzione dato che la nuova tecnologia di cottura del malto, in quanto tale, richiedeva un notevole impegno economico.
Una volta che la rivoluzionaria metodologia produttiva era diventata la prassi, il profilo di spesa si normalizzava e, nel XIX secolo, diventava il genere brassicolo dominante in Inghilterra, tanto da dare vita ad altri due stili, per l’appunto quelli delle India Pale Ale e delle Bitter.
Il ruolo della rivoluzione industriale nella diffusione delle Bitter
La Pale Ale, che veniva preparata con quantità contenute di luppolo (come oggi), nell’Ottocento conobbe uno sviluppo produttivo e di consumo che, legato com’era alla rivoluzione industriale, costituiva esso stesso una piccola trasformazione di una delle più antiche tradizioni inglesi.
Le birre pallide infatti, in virtù del fatto che fin da subito vennero commercializzate nel vetro, incontrarono un consistente successo sul fronte del consumo domestico e dunque nelle versioni in bottiglia: questa tipologia di contenitore manteneva intatte fragranze e freschezza.
In tal modo la birra, al momento di essere degustata, si presentava più in “forma” rispetto alle corrispettive edizioni destinate alla spillatura a pompa nei pub, dove entrava direttamente a contatto con l’aria e dunque si ossidava perdendo parte delle sue qualità aromatiche.
La trasformazione delle Pale Ale nelle Bitter
Per compensare questo svantaggio, le Pale Ale che non venivano imbottigliate iniziarono ad essere preparate con alcuni accorgimenti: impasti di cereali tali da ottenere, insieme a note più marcate di biscottato, anche una colorazione tendenzialmente più scura (tipo ruggine) e una gradazione mediamente minore, così da velocizzare lo svuotamento dei fusti in legno.
I mastri birrai, inoltre, aggiunsero delle dosi maggiori di luppolo con l’obiettivo di ottenere un’amaricatura più netta (da qui l’appellativo ‘Bitter’, che in inglese significa ‘amaro’, con cui furono subito designate per distinguerle dalle altre): così, di fatto, nacque una nuova tipologia brassicola.
Il suo radicamento nell’ambito della somministrazione al pub secondo la liturgia più antica (senza confezionamenti in acciaio e attingendo direttamente dalle botticelle in legno con spillatura a pompa o a caduta) ha fatto sì che le Bitter siano entrate a far parte del gruppo delle birre della tradizione inglese per antonomasia, anche se hanno visto la luce solo nell’Ottocento.
Le tre categorie principali delle Bitter secondo il BJCP
Per quanto riguarda infine l’inquadramento tipologico (con le relative connotazioni organolettiche) di questa bevanda brassata nelle sue tre versioni riportiamo le note del BJCP (Beer Judge Certification Program):
Ordinary Bitter
- Colore: dall’ambrato al ramato chiaro
- Aroma: tostato con toni di biscotto e di caramello, venature fruttate (mela), nonché di floreale-terroso-resinoso derivanti dal luppolo
- Gusto: tratti agrumati ricorrenti con fondo maltato che bilancia la secca corrente amaricante
- Grado alcolico: tra il 3.2% e il 3.8%
Best Bitter (Premium Bitter)
- Colore: dall’ambrato al ramato pieno
- Aroma: tostato con toni di biscotto e di caramello, venature fruttate (mela), nonché di floreale-terroso-resinoso da luppolo
- Gusto: bilanciato tra il malto e la secca corrente amaricante
- Grado alcolico: tra il 3.8% e il 4.6%
Strong Bitter
- Colore: dall’ambrato al ramato scuro
- Aroma: tostato con toni di biscotto e moderati di caramello, note di mela e di floreale-terroso-resinoso da luppolo
- Gusto: tratti agrumati con fondo maltato e dorsale alcolica che bilanciano la secca corrente amaricante
- Gradazione: tra il 4.6% e il 6.2%
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