I distillati di agave messicani, tequila e mezcal, da qualche anno sono sempre più al centro del mercato e della mixology internazionale, come dimostra il successo di un cocktail come il Paloma. Scopriamone la storia con Cristian Bugiada.
Mezcal e tequila sono i distillati simbolo del Messico, come la grappa lo è per l’Italia, il gin per l’Inghilterra, il whisky per la Scozia o il rum per i Caraibi. La loro denominazione e produzione è disciplinata da rigide normative, tanto che non è possibile parlare di tequila o mezcal, ma solo – genericamente – di distillati d’agave, se non sono prodotti in alcune specifiche regioni del Paese centroamericano.
Origini comuni, storie diverse
“Il tequila – spiega Bugiada – è un distillato di agave azul (blu, ndr), che può essere prodotto soltanto in cinque stati del Messico. Il mezcal è sempre un distillato di agave, ma di varietà differenti e può essere prodotto attualmente in dieci stati messicani. Entrambi hanno una denominazione di origine protetta e soprattutto derivano da un’unica matrice: mezcal significa ‘agave cotto’ e fino al 19mo secolo tutto era mezcal (allora chiamato in realtà ‘vino de mezcal de Tequila‘). Finché i due distillati non iniziarono a differenziarsi nel processo di lavorazione”.
Da una “costola” del mezcal nacque così il tequila, complice la rivoluzione industriale: “Con l’introduzione dei forni a vapore nella produzione del vino de mezcal de Tequila, si ottenne un distillato molto più fruibile, non più caratterizzato da una nota di fumo e più vicino al gusto dei consumatori americani. Il tequila, appunto. Che da quel momento prese una sua strada, ben distinta da quella del mezcal, conquistando il mercato degli Stati Uniti. E, da lì, diffondendosi poi in tutto il mondo, dove da decenni è considerato il distillato messicano per eccellenza”.
La riscoperta del mezcal (anche col “verme”)
Da qualche anno, la nuova “golden era della mixology” ha portato molti bartender a ricercare e riscoprire ai quattro angoli della terra distillati di nicchia o quasi dimenticati. Il che ha portato il mezcal a livelli di popolarità mai toccati prima in Europa e negli Usa. “Una riscoperta, quella del mezcal, favorita dal fascino della sua ancestralità, basata su tecniche di lavorazione antiche e su una tradizione che si tramanda di padre in figlio. Non per niente, in Messico si parla di ‘cultura liquida del mezcal’…”.
Tipica di alcune produzioni di mezcal è la presenza in bottiglia del “verme”: si tratta del gusano, una larva di uno dei due tipi di falene, note come maguey, che vivono sulla pianta di agave. Sui motivi ci sono diverse leggende. Alcuni raccontano ad esempio che, nel 1940, il distillatore Jacobo Lozano Páez scoprì che la larva cambiava il gusto dell’agave e così iniziò ad aggiungerla al suo mezcal. Altri credono che il “verme” porti fortuna e forza alla persona che se lo ritrova nel bicchiere. Secondo Anthony Dias Blue, eminente giornalista americano esperto di food & beverage, morto qualche mese fa, l’insetto serve a comprovare la gradazione alcolica del mezcal, che deve essere elevata affinché il gusano si conservi nel distillato. La motivazione più verosimile, tuttavia, è legata al marketing dei produttori che “cavalcano” i miti e le leggende sul “verme del mezcal”.
In miscelazione, nella preparazione di cocktail a base di mezcal o tequila si usa talvolta – anche come crusta – il sal de gusano, dal caratteristico gusto affumicato, a base di sale marino, larve tostate e macinate e peperoncini essiccati.
L’agave in miscelazione
Negli ultimi anni, come dicevamo, i distillati di agave sono fra quelli che hanno visto crescere maggiormente la loro quota di mercato, anche a seguito della “saturazione” raggiunta dalla domanda di gin a livello globale. In miscelazione, se il cocktail a base di tequila più famoso nel mondo resta il Margarita, è aumentata notevolmente la popolarità del Paloma, il drink più consumato in Messico: “Non sappiamo chi lo abbia inventato – continua Cristian Bugiada – ma sappiamo che a renderlo famoso fu Don Javier Delgado Corona, titolare della Capilla a Tequila in Messico, morto nel 2020. La ricetta classica prevede la preparazione con tecnica Build con 50 ml di tequila 100% agave, 5 ml di succo di lime, una crusta di sale e 100 ml di soda al pompelmo rosa. Anche se Iba prevede il sale dentro il drink”.
Per l’esperto, però, il cocktail che meglio valorizza il tequila è il Tequila Sunrise, che, al distillato, affianca sciroppo di granatina e succo di arancia. Un drink iconico e carico di storia: “Molti lo associano ai classici drink da club anni ’90: errore. Sebbene un po’ nebulose, le origini di questo cocktail risalgono all’epoca del Proibizionismo, quando molti americani andavano a bere nei bar messicani poco oltre il confine. La versione che conosciamo oggi si è affermata negli anni ’70 grazie anche a Mick Jagger che, nel 1972, assaggiò il Tequila Sunrise e ne rimase colpito. Al punto di voler soprannominare ‘Cocaine & Tequila Sunrise’ l’American Tour dei Rolling Stones di quell’anno. In quel periodo questo cocktail spopolava, letteralmente”.
I distillati d’agave italiani
La crescita di popolarità dei distillati d’agave ha favorito la nascita di produzioni autoctone anche in Italia, in particolare in alcune regioni del Sud, dove questa pianta succulenta è stata importata e si è rapidamente diffusa trovando il clima ideale per crescere e svilupparsi. Ovviamente, per i mitivi che abbiamo ricordato, questi prodotti non messicani non possono essere definiti tequila o mezcal, ma il concetto è comunque simile.
Fra le prime, quella della siciliana Agalìa, avviata nel 2021: un distillato dalla spiccata personalità, dal momento che oltre all’agave vi sono alcune botaniche tipiche di Sicilia, come il limone verdello e le pale di fico d’India, che lo rendono un prodotto davvero unico. Da godere anche bevuto liscio. I volumi produttivi sono ancora limitati, ma ci auguriamo che crescano in futuro, portando sempre più persone a conoscere e apprezzare Agalìa.
Dall’altra grande isola italiana, la Sardegna, è appena arrivato invece 41 Bis, il primo distillato di agave della nota azienda Silvio Carta: uno spirito più tradizionale dalle piacevoli note morbide, che ben si presta nella miscelazione in alternativa ai prodotti che arrivano dal Messico. Una curiosità: 41 Bis si chiama così non perché prodotto in un penitenziario per reati speciali, ma per richiamare la gradazione alcolica (41%) e il fatto che viene prodotto attraverso una doppia distillazione.
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