“Le sfide del bar del futuro”: in Italia calano di 10 mila unità all’anno i locali pubblici dove è possibile degustare una birra.
In un articolo pubblicato domenica scorsa, abbiamo parlato di come i dati, riportati dall’annuale documento ‘European beer trends’ redatto da ‘The brewers of Europe’, dimostrino che il settore birra, a livello europeo, sia in ripresa sia per quanto riguarda i volumi prodotti che per i consumi.
Non ci sono però solo notizie positive riguardanti la bevanda e tutti gli aspetti che la riguardano da vicino, vendite al dettaglio comprese e si tratta di problematiche che non interessano solo l’Italia, ma anche una delle culle europee di tutto quello che è brassicolo: in Gran Bretagna infatti, da alcuni anni, stanno attraversando una profonda crisi i pub, autentica istituzione d’oltremanica.
Come riportato da diversi fonti, in tutto il Paese, infatti ne chiudono circa 21 a settimana. Questo è dovuto, oltreché alle abitudini di vita degli inglesi che in parte sono cambiate, all’elevato tasso d’inflazione dovuto all’aumento dei costi delle materie prime che ha fatto raddoppiare, nel giro di pochi anni, il prezzo della tradizionale pinta (0,56 litri) balzato a 4,65 sterline, ovvero 5,30 euro.
Se nel Regno Unito i locali simbolo, e quasi sinonimo, di birra non se la passano affatto bene, lo stesso sta succedendo in Italia con i bar che, specie nei piccoli centri del nostro Paese, svolgono anche un’importante funzione di aggregazione sociale, anche grazie ad un buon bicchiere dell’antica bevanda, esattamente come le ‘public house’ o pub nei villaggi rurali inglesi.
Dal 2012 ad oggi, infatti, lungo la penisola, il numero delle imprese che svolgono questo tipo di attività è diminuito di circa 15 mila unità, e ogni anno almeno 10 mila sono le imprese che cessano l’attività: il risultato è che il tasso di sopravvivenza a cinque anni dei bar non raggiunge il 50%, ossia su 100 imprese che avviano l’attività ne sopravvivono meno di 50 a distanza di cinque anni.

Questa è stata una delle problematiche delle quali si è parlato nel corso della tavola rotonda “Le sfide del bar del futuro: qualità, professionalità e innovazione” che la Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) ha organizzato a SIGEP 2023, la fiera dedicata al settore agroalimentare svoltasi a Rimini.
“Stanno in questi numeri – dichiara Matteo Musacci, vicepresidente di Fipe Confcommercio – le difficoltà che attraversa il format bar, stretto nella morsa di una competizione sempre più sfrenata e di un modello di gestione che riesce a conciliare costi e ricavi solo attraverso enormi sacrifici personali di chi ci lavora, soprattutto se si tratta del titolare e dei suoi familiari. Tenere in piedi un’azienda che deve pagare stipendi, canoni di locazione esagerati e attualmente bollette fuori controllo, con caffè e cappuccini al prezzo di poco più di un euro sta diventando sempre più difficile”.
“Se a questo aggiungiamo che anche muovere i listini per adeguarli all’inflazione è complicato, il rischio che i conti non tornino è evidente. Occorre ripensare il modello di business partendo dal presupposto che tenere aperto 7 giorni su 7 per oltre 14 ore al giorno non sempre è economicamente sostenibile. Ed aggiungo che non lo è anche guardando alla sfera personale di chi, come capita a molti di noi piccoli imprenditori, è costretto a garantire una presenza continua sacrificando vita personale e affetti” ha concluso Musacci.
L’incontro è servito inoltre a fotografare un settore nel quale lavorano, tra dipendenti e indipendenti, oltre 300 mila persone grazie ad una diffusione territoriale ancora forte nonostante le numerose chiusure (2 imprese ogni mille abitanti, 9 comuni su 10 hanno almeno un bar).
In aumento invece la presenza di imprenditori provenienti dall’estero, soprattutto dalla Cina: sono infatti oltre 12 mila, il 12,2% del totale, i bar gestiti da stranieri con punte che in alcune regioni, come la Lombardia, sfiorano il 20%, o addirittura lo superano come in Veneto e in Emilia-Romagna.
Una crisi, quella dei bar italiani, che comunque ha ripercussioni decisamente inferiori sulle vendite di birra rispetto a quanto sta accadendo in Gran Bretagna: da noi, infatti, i prodotti brassicoli vengono ancora consumati principalmente durante i pasti, motivo per il quale sono grande distribuzione, beer shop, pizzerie e ristoranti a rivestire ancora un ruolo chiave per le vendite dell’antica bevanda.





