Quali sono le birre che ancora oggi vengono realizzate con l’antica tecnica della fermentazione spontanea?
Le fermentazioni spontanee nella storia. In due recenti articoli dedicati alla storia della produzione della birra ci siamo soffermati a parlare dei due macro generi d’appartenenza delle bevande brassate: quello delle alte fermentazioni (Ales) e delle basse fermentazioni (Lager), con il secondo che oggi è di gran lunga il leader mondiale del settore sia per i volumi prodotti che per i consumi.
Queste tecniche necessitano dell’intervento diretto del mastro birraio, che deve compiere un passaggio fondamentale, ovvero inserire il lievito nel mosto poiché il processo fermentativo non si avvia spontaneamente. Un’operazione resa possibile dalle scoperte fatte dall’uomo a partire dal medioevo, prima per quanto riguardava la coltivazione dei cereali e, successivamente, con l’avvento delle innovazioni tecnologiche.
L’origine della fermentazione spontanea
La birra però fa parte della storia dell’umanità da millenni, come dimostrano ad esempio i reperti archeologici scovati in Egitto e in Cina. Come veniva prodotta allora? Grazie a lieviti e batteri presenti nell’ambiente: questi, nella maggior parte dei casi, davano vita ad una bevanda molto acida e assai particolare.
Si tratta del procedimento ancora oggi conosciuto con il nome di ‘fermentazione spontanea’ che dunque rappresenta, tra le tecniche dalle quali discendono le due grandi famiglie birrarie di cui abbiamo parlato, quella che ha dato vita alle prime proto-birre prodotte dall’uomo da almeno 9mila anni prima di Cristo.
Il ruolo del Payottenland nella conservazione della tradizione
Una tecnica che ha accompagnato la storia della birra fino all’avvento della metodica applicazione delle coltivazioni e della sistematica selezione di luppoli e cereali: un passaggio, questo, che avrebbe segnato l’avvento della stagione dominata dalle alte fermentazioni.
Un genere birrario ancestrale: si tratta di vera e propria archeologia brassicola, la cui tradizione si è conservata nei secoli grazie al senso d’appartenenza di una comunità belga che ha sempre mostrato un grande attaccamento al proprio territorio e alle sue tradizioni birrarie.
Si tratta di un’area geografica di 500 chilometri quadri circa situata a sud-ovest di Bruxelles e attraversata dal fiume Zenne: un distretto noto con il nome di Payottenland. Qui le fermentazioni spontanee hanno un nome d’arte: Lambic (in francese) o Lambiek (in fiammingo).
L’origine del nome Lambic
Il termine, da declinare al maschile preceduto dall’articolo ‘il’, potrebbe derivare dal verbo latino ‘lambere’, ovvero sorseggiare che però era riferito soprattutto agli animali. Una seconda ipotesi rimanda al termine arabo-greco ‘alambic’ (‘recipiente’ o ‘ciotola’) e si fonda sull’idea, assai diffusa nell’Ottocento, secondo la quale le birre appartenenti a questa famiglia fossero particolarmente acide in quanto preparate tramite distillazione e dunque utilizzando degli alambicchi la cui parte terminale serve proprio per contenere i liquidi.
L’etimologia più verosimile però sembra essere quella che rimanda a un toponimo, ovvero Lembeek. Si tratta di un piccolo villaggio situato proprio nel Payottenland e noto fin dal medioevo per l’ampia produzione di fermentazioni spontanee: per questo motivo avrebbe svolto un ruolo centrale nella nascita del Lambic.
Il processo di fermentazione spontanea
Queste birre, come sottolineato in precedenza, non necessitano quindi dell’azione di lieviti inoculati dal produttore in un tino chiuso: si avvalgono infatti del lavoro di microorganismi (batteri lattici) e di lieviti selvatici (del genere Brettanomyces, comprendente specie quali il Bruxellensis, il Lambicus e il Claussenii) naturalmente presenti nell’ecosistema locale.
Tali microbi vengono lasciati depositarsi sulla superficie del mosto: un composto anch’esso assai particolare dato che deve contenere almeno il 30% di frumento crudo, ma soprattutto necessita di essere trattato con dei luppoli invecchiati, che hanno acquisito un curioso profumo di formaggio.
Il tutto, dopo essere rimasto a riposare in una vasca larga, bassa e completamente aperta (chiamata ‘coolship’), viene trasferito in botti dove troverà delle componenti microbiche ancora diverse, quali i batteri acetici, che apporteranno altre sfumature aromatiche al prodotto finale.
Il lungo processo di maturazione del Lambic
La gestazione di un Lambic implica dei tempi assai lunghi (si tratta infatti di un’articolata staffetta alla quale concorrono numerosi fermenti di varia natura): si può arrivare fino a 3 anni all’interno della botte seguiti da 24 mesi di maturazione supplementare in bottiglia.
Un processo dal quale nasce una bevanda dal sapore particolarmente deciso, con aromi di muffa, cuoio, yogurt, limone, aceto di mele e formaggio: il tutto accompagnato da un’acidità fin troppo spiccata. Un aspetto, quest’ultimo, che oggigiorno ne limita notevolmente la diffusione nella versione originale.
Le variazioni del Lambic
Per tale motivo, al fine d’ingentilire il temperamento del Lambic al naturale (che in inglese viene definito ‘straight’, ovvero ‘liscio, senza l’aggiunta di altri elementi’), ne vengono preparate delle versioni mitigate tramite l’utilizzo di alcune spezie, come nel caso della Gueuze e della Faro, oppure con l’impiego della frutta per quanto riguarda le Kriek e le Framboise.
La protezione della fermentazione spontanea
Da sottolineare inoltre come vi sia, in tutto l’ambiente birrario, una forma di rispetto e di riconoscenza per il ruolo che da sempre riveste la regione del Payottenland nel proteggere e nel tenere in vita la pratica delle fermentazioni spontanee: questo il motivo per cui solo quelle prodotte qui possono essere etichettate con la dicitura di ‘Lambic’.
Gli altri mastri birrai di tutto il mondo invece le contrassegnano con nomi diversi, quali ‘Sour’ (‘acido’) e ‘Wild beers’ (‘birre selvatiche’). Da alcuni anni infatti vi sono diverse interessanti riproposizioni (soprattutto negli Stati Uniti) di questa ancestrale metodologia di produzione, protagonista assoluta di millenni di storia dell’antica bevanda.
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