Seconda tappa consecutiva in Europa per il tour che la scorsa settimana era in Georgia, Paese nel quale il settore brassicolo sta conoscendo un’importante fase di sviluppo iniziata solo pochi anni fa: l’esatto contrario della Germania che, come noto, è una delle culle dell’antica bevanda vantando una tradizione ed una cultura birraria plurisecolare.
Universalmente considerata una delle patrie della birra, è il maggior produttore europeo: con un volume pari a oltre 95 milioni di ettolitri annui, supera non solo la Russia (89 milioni), ma anche, e di gran lunga, il Regno Unito (45 milioni), la Polonia (40 milioni), la Spagna (33 milioni), il Belgio (18 milioni). Per quanto riguarda invece i consumi, i tedeschi sono secondi solo ai cechi (411 litri annui pro capite contro 468).
Al di là dei dati numerici, la Germania ha sempre esercitato una grande influenza sulla storia e sulla produzione brassicola a livello mondiale: se oggi la maggioranza delle birre prodotte in ogni angolo del pianeta assomiglia molto, o quantomeno s’ispira, all’idea di birra come bevanda chiara, limpida, leggera e amarognola, lo si deve alla cultura birraria tedesca.
In modo particolare, è sempre stato determinante il contributo della Baviera: in tal senso va sicuramente ricordato il celebre ‘Reinheitsgebot’, il cosiddetto “Editto della purezza” che, emanato nel 1516 dal duca Guglielmo IV, ha cambiato per sempre il mondo birrario teutonico e non solo.

In realtà, fu promulgato per riservare l’uso di frumento e segale a favore dei panificatori (data la scarsità del raccolto di quell’anno, l’unico nel quale, in teoria, l’editto sarebbe dovuto rimanere in vigore), e non principalmente quindi per tutelare la qualità della birra per la quale la norma ne vincolava la produzione all’impiego tassativo, ed esclusivo, di orzo, luppolo e acqua.
Non era menzionato il lievito dato che nel XVI secolo la sua natura microscopica non era ovviamente ancora nota: sarà aggiunto al Reinheitsgebot successivamente mentre spezie e frutta resteranno sempre escluse dalla ricetta. Questo regolamento è rimasto ufficialmente in vigore fino al 1992 quando l’Europa, per promuovere il libero commercio, ha costretto la Germania ad adeguarsi alle normative della Comunità Europea.
Nonostante questo però, molti birrai tedeschi continuano ad attenersi alle vecchie regole: motivo per cui qui la ‘craft beer revolution’, ovvero la sperimentazione di aromi e gusti particolari, fatica a diffondersi: questo tuttavia è compensato dalla grande abbondanza di stili proposti da secoli e dall’eccellente qualità degli stessi.
Come detto, ai tempi del Reinheitsgebot, i mastri birrai non conoscevano i lieviti, ma in realtà avevano da tempo imparato a governare le fermentazioni e, pur non avendoli ancora scoperti, a gestire i fermenti stessi: tanto è vero che a Norimberga, già nel XIV secolo, esistevano regolamentazioni sull’utilizzo del lievito “che cade verso il basso” (quello che poi sarà chiamato a “bassa fermentazione”).
Senza dubbio però è stata la limitazione sull’impiego delle altre materie prime a rendere l’ ‘editto della purezza’ così rilevante nell’evoluzione della birra tedesca e non solo: d’altra parte se il Reinheitsgebot pone l’accento sui cereali, non va dimenticato come proprio dalla Germania sia arrivato l’impulso determinante per l’entrata in scena anche dell’altro ingrediente citato nel provvedimento del 1516: il luppolo.
Comparso all’orizzonte con gradualità, il rampicante dai fiori profumati e amari ha vissuto il suo percorso di affermazione lungo un arco temporale che gli storici fanno partire convenzionalmente nel 736, dal monastero di Weihenstephan (a Freising, in Baviera: qui sono state rinvenute le prime attestazioni sull’uso degli “odorosi coni”).
Un percorso di affermazione che ha conosciuto il proprio compimento grazie alla figura di Santa Ildegarda (1098-1179), badessa al monastero di Rupertsberg a Bingen (Renania): conoscitrice della filosofia e della botanica e considerata, appunto, l’artefice della definitiva consacrazione del luppolo nella produzione brassicola.

Uno sviluppo storico che ha dunque dei passaggi ben definiti che, unitamente a fattori climatici favorevoli, hanno contribuito, nel corso dei secoli, allo sviluppo e alla capillare diffusione della cultura birraria in Germania: questo ha fatto in modo che, al giorno d’ oggi, ciascuna città tedesca abbia uno o più birrifici.
Una produzione su vastissima scala nonostante la quale, per la propensione dei birrai tedeschi a rimanere fedeli all’‘Editto della purezza’, gli stili canonici restano sempre i protagonisti assoluti del panorama birrario nazionale: sono gli stessi che, come detto, influenzano la produzione a livello mondiale.
Uno su tutti è lo stile lager. Come la stragrande maggioranza delle birre teutoniche, è realizzata a bassa fermentazione: di colore giallo pallido, si distingue per le note amarognole. Deve il nome alla modalità di maturazione che, nei secoli scorsi, avveniva nelle omonime grandi cantine.
Poi, fra gli altri stili iconici della Germania, troviamo weiss, marzen e bock. Ciascuno di questi ha una storia da raccontare, come i birrifici che le producono: per questo motivo, torneremo a parlare del panorama brassicolo tedesco sia dal punto di vista storico che attuale




