Dopo la pausa di Ferragosto, riparte il viaggio alla scoperta dei prodotti tipici di ogni angolo del pianeta. L’ultima tappa era stata in Bosnia-Erzegovina, dove, dai tempi della dominazione Ottomana, si produce la ‘boza’: si tratta di un’antenata delle moderne birre a base di malto e grano.
Il Paese balcanico però, come tutti gli altri della medesima area geografica, è principalmente terra di distillati: quello più popolare è l’acquavite a base di frutta (‘Rakija’) che tradizionalmente viene preparata in casa. Il superalcolico, di norma, è a base di prugne e viene chiamato ‘Šljivovica’, ma si può realizzare anche con albicocche, pere e uva: la gradazione alcolica si aggira intorno al 40%, ma quella casalinga può arrivare fino all’80%.
Il tour, in queste righe, torna in Africa e approda in Botswana: il termine significa “terra del popolo Tswana”, ovvero la tribù di pastori e contadini dell’Africa meridionale arrivata qui circa 400 anni fa dopo un lungo periodo di piogge che ha reso coltivabile l’area desertica del Kalahari.
Come in molti altri Paesi africani, le birre tradizionali a base di cereali locali rivestono un ruolo sociale di grande importanza: ad introdurle per prima è stata la tribù dei Bantu che si è stabilita in queste terre intorno al 1500 e, al contempo, ha promosso il ruolo della donna come figura centrale nella loro produzione (un usanza tutt’oggi rispettata). Fra queste bevande, quelle più diffuse in Botswana sono la birra di marula e quella conosciuta come ‘Umqombothi’.
La marula (Scelerocarya birrea) è senza dubbio una delle più importanti piante indigene africane e ha grandi potenzialità in agricoltura anche per il futuro. Vanta una storia antichissima: vari reperti archeologici, risalenti anche a 10.000 anni fa, mostrano infatti che l’albero è sempre stato una fondamentale fonte di nutrimento.
Noto come il frutto che ‘fa impazzire gli elefanti’, è uno dei tesori botanici africani: ricco di minerali e vitamine, è protagonista di numerose leggende e molti sono gli usi a cui ogni sua parte è adibita. La pianta ha una chioma arrotondata e una corteccia ruvida: i fiori nascono in piccoli mazzi e i frutti sono grandi e arrotondati e crescono sia a fine estate che in pieno inverno tra gennaio e marzo.
La produzione di questa bevanda è un vero e proprio evento sociale che vede come protagoniste, per l’appunto, le donne. La preparazione avviene in casa: dopo la raccolta, i frutti vengono pelati e la polpa fatta a pezzetti in un contenitore dove è aggiunta dell’acqua. Una volta tritata la parte solida, il liquido che si ottiene è molto denso: per questo motivo l’impasto viene setacciato per rimuovere resti e semi e lasciato riposare per 4 giorni passati i quali il prodotto è pronto per il consumo.
L’Umqombothi, invece, è la birra tradizionale del popolo Tswana che oggi rappresenta il 66,8% della popolazione del Botswana: viene prodotta con una miscela di farina di mais, malto tritato di mais e di sorgo, acqua e lievito ottenuto dalla radice della pianta ‘moerwortel, Glia gummifera’.
Un elevato quantitativo di malto di mais conferisce alla bevanda una tonalità di colore più chiaro e un sapore dolce, mentre un contenuto superiore di malto di sorgo fa sì che sia più scura. In generale, l’Umqombothi è molto ricca di vitamina B e presenta un basso contenuto alcolico: si presenta densa e cremosa grazie al mais utilizzato ed ha un aroma assai deciso.
Tradizionalmente viene preparata su un focolare all’esterno delle abitazioni e gli ingredienti sono mescolati in un recipiente di ghisa insieme a dell’acqua calda: il composto resta sul fuoco una notte intera, per permettere l’inizio della fermentazione.
Successivamente, una piccola parte del mosto viene prelevata e messa da parte, mentre l’impasto rimanente continua a cuocere finché diventa croccante: questa parte del composto solitamente è fatta raffreddare per un giorno e versata in una pentola di terracotta.
La birra ottenuta viene quindi mescolata con un cucchiaio di legno ed è poi coperta con un coperchio per mantenere il calore e permettere la fermentazione durante la notte successiva. Per controllare che la birra sia pronta, si accende un fiammifero vicino al piatto: se si spegne rapidamente la birra è pronta, se resta acceso, la bevanda deve fermentare ancora.
Per rimuovere il grano in eccesso, il mosto fermentato è filtrato tramite un colino a forma di tubo che viene intessuto con l’erba: il sedimento sul fondo della pentola è aggiunto alla birra per insaporirla ulteriormente. Il grano rimasto nel filtro viene dato in pasto ai polli: quando il produttore della bevanda lancia questo grano ai polli, ringrazia i suoi antenati per la riuscita del lavoro.
Una volta che la birra è stata filtrata, viene versata in un grande contenitore per fare in modo che possa essere condivisa con tutta la comunità in occasione d’importanti avvenimenti come, ad esempio, il ritorno a casa dei giovani uomini dopo la cerimonia d’iniziazione.
Sia la birra di marula che l’Umqombothi rivestono un ruolo sociale e culturale molto importante presso le popolazioni indigene del Botswana: proprio dall’incontro fra queste bevande tradizionali e le conoscenze riguardo alla birra dei coloni britannici è nato il moderno movimento birrario locale, in grado di realizzare prodotti apprezzati anche dai sempre più numerosi turisti che visitano il Paese.