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Le bevande tradizionali del mondo: Etiopia

Le bevande tradizionali del mondo: Etiopia

Un viaggio culturale tra caffè e birra ancestrale nel cuore dell’Africa

Le tappe precedenti: Estonia e Emirati Arabi tra birra e gahwa

La scorsa settimana il viaggio alla scoperta dei prodotti tipici di tutto il globo si trovava in Estonia, il Paese affacciato sul mar Baltico dove il numero dei birrifici di tutte le dimensioni è in continua crescita: questo è il riflesso dell’importanza culturale che qui ha sempre avuto un’antenata dei moderni prodotti brassicoli, ovvero la ‘kali’ a base di pane di segale nero e barbabietole.

Prima di visitare il piccolo territorio dell’Europa nord-orientale, il tour aveva fatto tappa negli Emirati Arabi Uniti dove le tradizioni legate al caffè costituiscono una parte centrale del patrimonio culturale di questa regione. Simbolico atto di generosità, l’offrire un caffè agli ospiti è parte imprescindibile dell’ospitalità araba: preparare e servire il ‘gahwa’ (come viene chiamato nel dialetto emiratino) è un gesto ricco di rituali.

Il ruolo centrale del caffè: dalle origini etiopi alla cerimonia

Birra ancestrale e caffè che costituiscono due capisaldi delle tradizioni del Paese dove arriva questa volta il viaggio intorno al mondo, ovvero l’Etiopia: nel caso della seconda bevanda, contrariamente a quella che è l’opinione comune, si tratta addirittura del suo luogo di nascita. Un’affermazione quest’ultima che potrebbe sembrare totalmente errata dato che la qualità di caffè più antica ed una delle più celebri si chiama Arabica: la ricerca scientifica però ha consentito di appurare che la pianta Coffea, da cui si ricava tale tipologia della bevanda, è originaria di quest’area dell’Africa dove veniva già coltivata nel IX secolo.

Allora come mai si chiama ‘Arabica’?

L’errore nasce dal fatto che fino alla fine dell’800 molti esperti erano convinti che l’arbusto fosse originario della penisola arabica, in particolar modo delle regioni affacciate sul Golfo Persico: questo anche per il fatto che in quest’area geografica la bevanda ha sempre rivestito una grande importanza culturale. I primi utilizzi dell’arbusto in Etiopia infatti non prevedevano la tostatura dei chicchi ma, ad esempio, si usavano le foglie secche o i fiori per realizzare dei decotti e delle tisane. Un altro modo di consumarlo era quello di macinare i chicchi e di unirli a del burro per farci delle palline e ottenere una sorta di snack energetico.

Fu solo a partire dal XVI secolo che il caffè in Etiopia iniziò ad essere apprezzato come bevanda: questo riconoscimento avrebbe gettato le basi per la celebre cerimonia del caffè etiope che oggi costituisce uno dei riti più importanti della cultura del Paese africano.

Si celebra infatti quotidianamente con famigliari, amici e vicini di casa e simboleggia il senso di appartenenza ad una comunità. La cerimonia inizia con la tostatura dei chicchi di caffè che vengono tostati su una piastra calda chiamata ‘menkir’: una volta che i chicchi sono stati tostati, vengono portati in giro per la stanza in modo che le persone possano annusare il loro aroma dolce e fruttato.

A questo punto la persona che ha preparato la cerimonia macina i chicchi e li ripone in un grande pentolone di terracotta conosciuto come ‘jebena’: nel frattempo l’acqua viene portata ad ebollizione in un’altra pentola ed una volta raggiunta la temperatura corretta, viene unita ai granelli.

Il jebena viene quindi messo su una brace o una fiamma a bassa temperatura e il caffè viene fatto tostare lentamente: il processo di tostatura può richiedere anche 20 minuti o più. Una volta pronto il caffè viene versato in tazze piccole, chiamate “cucchiaini“. La cerimonia prevede che ne vengano servite tre a ciascun ospite: la prima è chiamata ‘abol’, la seconda ‘tona’ e la terza ‘baraka’. Ciascuna di queste ha un significato diverso e la terza viene considerata una benedizione per gli ospiti.

La birra artigianale fatta in casa: la tradizione della tella

Passando quindi a parlare della birra tradizionale prodotta nelle abitazioni, che in Africa cambia nome a seconda del Paese e dei dialetti locali (per esempio in Burkina Faso si chiama ‘dolo’), in Etiopia è conosciuta come ‘tella’ e viene consumata sia quotidianamente che in occasioni importanti come le feste nazionali e i banchetti nuziali.

La bevanda si può realizzare utilizzando diverse materie prime come orzo, mais, grano, miglio oppure il ‘teff’ (un cereale senza glutine tipico della regione del Corno d’Africa). Tra birra e tella una delle principali differenze riguarda il processo di fermentazione: nella produzione della seconda infatti non vengono aggiunti lieviti esterni e ci si affida unicamente a quelli presenti nei cereali.

Viene prodotta all’interno di recipienti di argilla che vengono lavati utilizzando una pianta tropicale chiamata ‘grawa’ (Vernonia amygdalina): successivamente, dopo un ulteriore risciacquo, i contenitori sono affumicati con il legno di ‘weyra’ (Olea europea) per una decina di minuti.

Le tre fasi della preparazione della tella

La preparazione quindi prosegue seguendo 3 fasi principali: la prima (chiamata ‘tejet’) è dedicata alla preparazione del malto (‘bikil’): i cereali vengono messi in ammollo in un contenitore, si lasciano germinare per almeno 3 giorni ed infine si fanno essiccare al sole. Una volta trascorso questo arco di tempo, si prepara una specie di farina ottenuta dalla lavorazione delle foglie e dello stelo di un arbusto conosciuto come gesho.

Nella seconda fase (‘tenses’), si aggiunge una farina d’orzo, chiamata enkuro, oppure si può aggiungere del pane non lievitato fatto a pezzi e lasciato fermentare per una settimana. L’ultima fase (‘difedef’) prevede l’aggiunta di acqua e una nuova fermentazione che dura fino a 12 giorni trascorsi i quali la bevanda è pronta per essere consumata con famigliari e amici oppure essere venduta nei locali etiopi specializzati nella tella, ovvero i tellafet.

Caffè e tella, simboli della cultura etiope

Il caffè e l’antenata delle moderne birre (in un Paese dove oggi esistono anche alcuni marchi che producono industrialmente la bevanda) simboleggiano quindi la cultura etiope e rivestono un ruolo centrale in diverse occasioni sia pubbliche che private e sono tutt’oggi un’importante fonte di sostentamento per la popolazione specie nelle aree più rurali del Paese.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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