Nuovo appuntamento con il viaggio alla scoperta dei prodotti tipici di tutto il pianeta che la scorsa settimana ha fatto tappa in centroamerica, per la precisione in Costarica: l’ex colonia spagnola è rinomata soprattutto per le piantagioni di caffè e la produzione di alcuni rum apprezzati ovunque, anche in Italia, per la loro qualità.
Il tour, in questo articolo, torna in Europa per approdare in Croazia, una terra che, come tutta la penisola balcanica, da sempre costituisce un punto d’incontro e di scontro fra diversi popoli e culture. Qui infatti, ad esempio, vi era il confine tra l’Impero Romano d’Occidente e quello d’Oriente e quindi con l’impero Bizantino.
Un crogiuolo di identità etniche del quale abbiamo avuto modo di parlare nel corso della rubrica ‘Giro del mondo in birra’ dato che qui la produzione delle antenate della moderna bevanda ha origini antichissime: si può far risalire addirittura a 5000 anni fa, quando il popolo Vučedol consumava una proto-birra a base di orzo, segale ed avena bevuta usando delle lunghe cannucce.
Un percorso attraverso i secoli che riguarda anche una delle coltivazioni tipiche della Croazia, ovvero quella della vite: vini croati oggi di numerose tipologie e di buona qualità grazie sia all’accurata selezione delle uve da impiegare sia ai benefici influssi del clima mediterraneo.
La storia della viticoltura in questa terra infatti affonda le sue origini nel V secolo a.c., quando i Greci (soprattutto Traci provenienti dall’odierna Grecia settentrionale) arrivarono sulle attuali coste croate: lo sviluppo della produzione però lo si deve soprattutto all’Impero Romano e, durante il medioevo, al clero.
Un processo di crescita che si fermò quando, nel 1400 circa, gli Ottomani vietarono l’utilizzo di bevande alcoliche su tutto il territorio, come impone la legge islamica: unica eccezione era rappresentata dal vino realizzato per i rappresentanti della chiesa cattolica e anche questo, secondo gli studiosi, ha fatto in modo che i vini locali arrivassero fino ai nostri giorni.

Un altro periodo assai difficile per la viticoltura locale è stato quello sotto il regime comunista jugoslavo dato che la produzione era concentrata in grandi cooperative e la proprietà privata dei vigneti era fortemente scoraggiata, privilegiando la quantità sulla qualità.
Le successive guerre dei Balcani (1990-2001) hanno quindi comportato la distruzione di molti vigneti e cantine: negli ultimi anni però, con il ritorno ai piccoli produttori indipendenti, i vini croati sono tornati nuovamente a ritagliarsi un posto di riguardo nel panorama mondiale del settore.
Fra questi prodotti troviamo la malvasia di Dubrovnik che, specie in passato, era molto conosciuta ed apprezzata non solo dagli abitanti del luogo, in modo particolare dagli esponenti dell’aristocrazia, ma anche in alcuni Paesi vicini nei quali veniva esportato via terra e via mare.
L’esistenza di questo vino è infatti menzionata per la prima volta in alcuni documenti scritti risalenti all’epoca della Repubblica di Ragusa (1383): qui si riporta l’usanza di servire questa bevanda insieme ai dolci o con delle caramelle, ma anche la consuetudine di offrirne un bicchiere ai diplomatici in visita all’odierna Dalmazia.
Oggi la vite da cui si ricava cresce e si coltiva soprattutto tra le colline che circondano il piccolo paese di Konavle (in italiano: Canali) nella regione raguseo-narentana, dove i vigneti godono di condizioni pedoclimatiche molto favorevoli data la vicinanza al mare.
Gli acini sono piuttosto grandi, tondeggianti e di colore verdastro che diventa giallo una volta raggiunta la maturazione. La raccolta, che viene svolta manualmente, inizia piuttosto tardi dato che l’uva deve raggiungere un certo grado di dolcezza per offrire un prodotto di qualità.
Tutti i passaggi successivi della vinificazione vengono svolti con estrema cautela, soprattutto la spremitura, in modo tale da non alterarne l’aroma e il colore: dopo la fermentazione, il vino viene messo a terminare la maturazione in botti di legno e, trascorso qualche mese, viene imbottigliato.
La malvasia di Dubrovnik si presenta di colore giallo paglierino, con una gradazione alcolica piuttosto contenuta: una peculiarità che lo rende molto rinfrescante ed aromatico. Si consuma sia al di fuori dei pasti come aperitivo oppure per accompagnare piatti a base di pesce.
Il vino bianco in Croazia rappresenta circa due terzi della produzione totale. In particolare nelle regioni dell’entroterra solo il 10 per cento della produzione totale annua è rosso: questo non vuol dire che non vi sono delle viti a bacca rossa dalle quali si ricavano prodotti di valore.
Un esempio è la qualità ‘plavac mali’, anch’essa tipica della Dalmazia, da cui si ottiene un vino pieno e robusto con note di frutta scura, spezie e terra: viene spesso considerato uno dei migliori prodotti della viticoltura locale per la sua ricca e variegata struttura aromatica.
Nella parte croata della penisola d’Istria invece si realizza il Mozaik: si tratta di un blend di varietà rosse come Merlot, Borgogna e Cabernet Sauvignon. Invecchiato in botti di legno per 15 mesi, questo vino ha un corpo medio, con toni rosso rubino. Si caratterizza inoltre per un avvolgente profumo di frutti di bosco e per la sua struttura levigata con note di vaniglia: il bouquet aromatico è molto ricco e delicato.
Storia della viticoltura che in Croazia, come visto, affonda le proprie radici ai tempi degli antichi Greci: uno sviluppo lungo secoli quindi e, per tale motivo, i vini che abbiamo citato in questo articolo sono solo alcuni di quelli di cui parlare. La prossima settimana dunque racconteremo delle caratteristiche di altri prodotti di questo territorio.




