Abbiamo incontrato Marco Rossi, giovane promessa del bere miscelato. Un bartender che vale la pena tenere d’occhio. Romano, attualmente bar manager di Officine Sbiellate di Milano, ha grinta, entusiasmo e determinazione. E farà parlare di sé. Siamo pronti a scommetterci.
La gavetta a Londra, dove anche avere un tetto stabile non è scontato e dove la competizione tra colleghi è altissima. L’esperienza al 1930 di Milano. La scoperta del mondo delle fermentazioni, la sfida dei drink alla spina e la guest al Flores Cocteles di Milano nel nome dei twist on classic con rum Santa Teresa, in programma martedì 1 novembre. Ecco i temi dell’intervista a Marco Rossi, bar manager di Officine Sbiellate.
Partiamo da Londra, dove hai lavorato per oltre tre anni. Che cosa hai imparato?
Ad affrontare con più tranquillità e sangue freddo imprevisti e problemi della vita.
Londra non è una città facile, a partire dal tema case. Tra i prezzi folli degli affitti, anche in condivisione, e le condizioni degli appartamenti, avere un tetto stabile non è scontato. E poi, nel mondo del lavoro, c’è molta competizione. Ma sono cresciuto molto: di certo, senza l’esperienza a Londra, non sarei approdato al 1930 di Milano. E, poi, a Officine Sbiellate.
Officine Sbiellate è l’unico locale a Milano a proporre drink alla spina…
Per ora è il solo, ma è questione di tempo. Vedrai! Si tratta di un format diffuso negli Usa che funziona alla grande. Intanto, i drink hanno una stabilità assoluta. Secondo, riduci i tempi di servizio. Terzo, contieni il drink cost e puoi fare uscire i cocktail anche a 8 euro, persino pagando un affitto importante come il nostro. Quarto, incrementi le vendite. Noi -tra l’altro- offriamo pure il formato da un litro take away, con contenitore riciclabile, che si può ricaricare.
Come è nata l’idea di puntare sui drink alla spina?
Il progetto è stato maturato durante il lockdown. L’illuminazione venne al titolare che mi chiamò per una consulenza. Ci rendemmo conto del potenziale e investimmo più tempo ed energie. Risultato? Da allora non me sono più andato.
Le intenzioni sono quelle di diventare socio e di aprire un secondo locale a Milano.
Uno sguardo a più breve distanza. Martedì 1 novembre sarai ospite al Flores Cócteles di Milano all’interno del ciclo di One Night dedicate ai twist on classic…
Essere in calendario dopo nomi come Luca Picchi, Roberto Pellegrini e Patrick Pistolesi e prima di Alex Frezza e Cristian Bugiada è fonte di orgoglio per me. La collaborazione è nata grazie a Martini. È stato il brand ambassador di rum Santa Teresa a propormi la guest e non ho avuto esitazioni ad accettare.
Perché?
È importante diffondere la conoscenza dei drink classici e decisamente virtuoso puntare sulle loro rivisitazioni. E poi, siamo onesti, le guest sono uno strumento per accrescere la propria notorietà tra professionisti e appassionati, oltre che un’occasione di scambio di idee e di confronto.
Il barman -per te- è…?
Un professionista dell’ospitalità che ha come mission numero uno fare sentire davvero a proprio agio i propri ospiti. Prima ancora di essere un caparbio professionista della mixology, il barman per me è quindi chi sa ascoltare il cliente ed è capace di assecondarlo nelle sue desiderata, ogni volta diverse.
E tu perché hai deciso di fare questo mestiere?
Di carattere, sono sempre stato appassionato di cucina, ricette, ingredienti, spezie e aromi. Mi dirai, potevi fare il cuoco. Ecco… ho trovato ancora più stimolante la possibilità di impegnarmi nella ricerca ed esprimere la mia creatività in un terreno meno battuto di quanto non sia quello della cucina.
Che cosa ami di più del tuo lavoro?
La storia che sta alle spalle del nostro mestiere. Una storia che parte dai monaci e prosegue con i farmacisti prima di affermarsi come un momento di coccole edonistico, riflessivo o sociale dopo la prima metà dell’Ottocento. Una rivoluzione segnata dall’uscita del Manuale del Jerry Thomas, il primo ricettario di drink della storia.
Al contrario, che cosa hai imparato a sopportare?
Più che a sopportare, direi che ho imparato a gestire i modi bruschi, maleducati e a volte aggressivi o invadenti della clientela, senza scordare chi alza troppo il gomito. Non meno complesso è affrontare lo stress derivante da un lavoro sempre in piedi, con turni lunghissimi, anche a causa della mancanza di personale che ci costringe a lavorare con ritmi forsennati.
Ma come si diventa un bravo bartender?
Con determinazione, impegno, costanza e tempo. Prima occorre padroneggiare le basi, poi individuare la propria specializzazione e, infine, non smettere mai di studiare e migliorare.
E qual è la tua specializzazione?
Il mondo delle fermentazioni che sono, di fatto, la cifra stilistica dei miei drink e che continuo a studiare con la consapevolezza che più sai, più sai di non sapere.
Il tuo cocktail preferito?
Daiquiri, tutta la vita. Come diceva il mio Maestro Marco Russo, titolare del 1930 di Milano, un drink essenziale e apparentemente semplice, che invece è complesso da bilanciare perfettamente.
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