Gli effetti dell’inflazione si fanno sentire. E dopo la shrinkflation, con i produttori di cibi confezionati che riducono le quantità nei pacchetti per non alzare i prezzi, ora è il momento della “drinkflation”.
Così il Daily Mail ha battezzato il fenomeno che si sta diffondendo (per ora) in Gran Bretagna, in base al quale alcuni produttori di birra riducono la gradazione alcolica dei loro prodotti per mantenerne invariato il prezzo.

Analoghe variazioni sono state introdotte anche da altri birrifici, anche se nella maggior parte dei casi questo “taglio dell’alcol” viene giustificato non tanto con il risparmio, bensì con la volontà di offrire prodotti più salutari ai consumatori, conquistando magari qualche nuovo cliente.

In ogni caso, secondo le stime dello Sheffield Alcohol Research Group dell’Università di Sheffield un grande produttore di birra può risparmiare fino a 250 milioni di sterline (circa 290 milioni di euro) riducendo la gradazione dello 0,35%. Aumentando i profitti pur mantenendo invariati i prezzi al consumo.
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