HomeBirraOcchio alla "drinkflation": meno alcol nella birra contro gli aumenti

Occhio alla “drinkflation”: meno alcol nella birra contro gli aumenti

Gli effetti dell’inflazione si fanno sentire. E dopo la shrinkflation, con i produttori di cibi confezionati che riducono le quantità nei pacchetti per non alzare i prezzi, ora è il momento della “drinkflation”.

Così il Daily Mail ha battezzato il fenomeno che si sta diffondendo (per ora) in Gran Bretagna, in base al quale alcuni produttori di birra riducono la gradazione alcolica dei loro prodotti per mantenerne invariato il prezzo.

Nel Regno Unito è prevista infatti un tassazione degli alcolici proporzionale alla loro gradazione. Il Daily Mail ha scoperto ad esempio che una azienda come Foster’s ha abbassato la gradazione della sua birra più forte da 4 a 3,7 gradi.

Analoghe variazioni sono state introdotte anche da altri birrifici, anche se nella maggior parte dei casi questo “taglio dell’alcol” viene giustificato non tanto con il risparmio, bensì con la volontà di offrire prodotti più salutari ai consumatori, conquistando magari qualche nuovo cliente.

Giustificazione non troppo credibile, secondo alcuni osservatori, vista la storica contrarietà delle aziende del settore nei confronti di politiche e provvedimenti governativi per la tutela della salute dei consumatori di prodotti alcolici.

In ogni caso, secondo le stime dello Sheffield Alcohol Research Group dell’Università di Sheffield un grande produttore di birra può risparmiare fino a 250 milioni di sterline (circa 290 milioni di euro) riducendo la gradazione dello 0,35%. Aumentando i profitti pur mantenendo invariati i prezzi al consumo.

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Stefano Fossati
Stefano Fossati
Redattore del tg Bluerating News, collaboratore delle testate economiche di Bfc Media, di Mixer Planet e naturalmente del Magazine ApeTime.

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