La birra agricola? Uno stile brassicolo italiano “a norma di legge” che è rinato negli ultimi anni.
Fino ad oggi, abbiamo sempre parlato di tipologie di birra frutto unicamente del lavoro svolto dai mastri birrai nel corso dei secoli: tutte varianti stilistiche derivanti, ad esempio, da una diversa affumicatura dei malti oppure dai tempi di fermentazione della bevanda.
Questa volta, invece, ci soffermeremo a descrivere quello che, in un certo senso, può essere definito uno stile creato dalla legge italiana: si tratta della ‘birra agricola’ che, dopo un periodo nel quale era pressoché scomparsa, negli ultimi anni, lungo la penisola, sta rinascendo grazie al lavoro di numerosi birrifici.
Ma di cosa si tratta esattamente? Nel settembre 2010, è stato emanato un decreto ministeriale che riconosce alle birre nostrane lo status di prodotto agricolo, e non di semplice bevanda, a patto che queste siano realizzate con almeno il 51% dei cereali coltivati direttamente dal birrificio che le produce.
La più immediata conseguenza di questo cambiamento, fu che le aziende agricole produttrici d’orzo poterono creare una malteria o un birrificio aziendale godendo di una tassazione più vantaggiosa, calcolata sulla base del reddito agrario, e aumentare così i propri profitti.
Questo, senza dubbio, è stato uno dei passaggi più importanti per l’esponenziale aumento del numero delle piccole e medie aziende brassicole operative nel nostro Paese: basti pensare che, nel 2010, erano 311, mentre, poco più di un decennio dopo, sono 1085.
La novità infatti suscitò non poco fermento nell’ambiente: diverse aziende agricole acquistarono macchinari per cominciare a produrre birra, mentre i birrifici già esistenti si ingegnarono per capire come ottenere la denominazione di ‘birrificio produttore di birra agricola’.

Il centro del primo sviluppo di questa nuova tendenza, è stata la regione Marche grazie al lavoro svolto dalla malteria del Cobi (Consorzio Italiano di Produttori dell’Orzo e della Birra) e all’attività di Copagri Marche (Confederazione Produttori Agricoli).
L’entusiasmo dell’epoca durò qualche anno, poi cominciò a sgonfiarsi a causa del gravoso impegno umano ed economico (nonostante le agevolazioni fiscali) che questa tipologia di produzione richiedeva ai singoli birrifici, soprattutto a quelli più piccoli: sembrava quindi che il fenomeno fosse destinato a rimanere una meteora nell’evoluzione della filiera dato che uscì dai radar delle cronache birrarie, in un periodo nel quale, come detto, il comparto italiano era in una fase di grande sviluppo.
Questo settore però, in realtà, non è mai scomparso del tutto e di tanto in tanto è stato recuperato in occasione di alcuni eventi. Parallelamente, nell’ambiente birrario nazionale, stavano cominciando a svilupparsi diversi progetti legati alla coltivazione delle materie prime, in particolare del luppolo.
In seguito, iniziò a farsi largo fra i produttori l’idea che anche da noi era possibile gestire tutta la filiera, a partire dai campi per arrivare fino al bicchiere, e questo coinvolgendo tutti gli attori fin dalla coltivazione dei cereali: anche in Italia si è quindi potuto iniziare a parlare, in modo diffuso, di birre a “chilometro zero”.
Questo anche grazie alle numerose innovazioni tecniche che si sono succedute nel tempo e hanno reso meno gravose le attività nei campi e più rapido, più efficiente e meno dispendioso il lavoro dei birrifici: progresso tecnologico decisivo soprattutto per l’attività delle aziende con meno risorse umane ed economiche.
Gli aderenti alla rilanciata metodologia produttiva, si sono riuniti nel ‘Consorzio della birra italiana’, fondato nel 2019, che ha come obiettivo quello di promuovere la bevanda artigianale prodotta con materie prime nazionali e dunque realmente legata al territorio. I nomi dei primi promotori dell’iniziativa, erano quelli di realtà anche molto diverse tra loro, ma hanno rivestito tutti un ruolo di grande importanza nel portare avanti questo progetto e nel coinvolgere un numero sempre maggiore di produttori, con conseguente crescita quantitativa e qualitativa della ‘birra agricola’.
Oggi, sono numerosi i nuovi birrifici che partono già con lo status di ‘agricolo’ dato che operano all’interno di aziende agricole preesistenti: a questo bisogna aggiungere che il contesto sociale ed economico è cambiato e tali progetti sono sempre più guidati dalla passione e da una visione concreta del mercato nazionale.
Mercato interno che vede diffondersi sempre più tra i cittadini l’idea dell’ acquisto di prossimità: per questo motivo, è possibile che il comparto cresca notevolmente, diventando, nei prossimi anni, un settore di grande importanza per tutta la filiera italiana.





