HomeBirraGiro del mondo in birra: ecco le etichette della Nuova Zelanda

Giro del mondo in birra: ecco le etichette della Nuova Zelanda

Ultima tappa dell’anno per il viaggio alla scoperta delle birre di tutto il mondo che, per uno scherzo dell’ordine alfabetico, approda nel quinto, e ovviamente ultimo, continente consecutivo diverso in un mese: andiamo in Nuova Zelanda.

Eccoci in Oceania, in Nuova Zelanda, nella patria dei maori e della celebre nazionale di rugby degli All blacks.

Se il Paese è noto in tutto il mondo per la squadra dei ‘tutti neri’ dello sport con la palla ovale, forse non lo è altrettanto per la produzione di birra, almeno quanto meriterebbe secondo diverse fonti ed esperti del settore: qui infatti viene coltivato uno dei luppoli dal sapore più deciso e fruttato di tutto il mondo. Questo il motivo per il quale, grazie anche all’abilità e all’inventiva di un numero crescente di giovani mastri birrai, dovrebbe essere considerato alla stregua delle altre Nazioni oggi leader del mercato della produzione di birre artigianali di alta qualità.

Il cereale in questione è il ‘Nelson Sauvin’, ovvero la varietà ottenuta nel 2000 nei laboratori agronomici della regione di Nelson (città e capoluogo dell’omonima regione), le cui caratteristiche olfattive ricordano da vicino quelle del Sauvignon Blanc (peperone giallo, uva spina, pompelmo e fiori di bosso): questo il motivo per cui è stato battezzato proprio Sauvin.

Oltre a questo, che è il capofila, essendo il primo luppolo al 100% tipico della Nuova Zelanda, la lista dei typical hops del Paese comprende altre numerose varietà: tra esse, di particolare pregio, gli aromatici Motueka, Pacifica e WaiIti, oltre agli amari Pacific Jem e Pacific Jade.

Non è un caso quindi che la Nuova Zelanda, specie negli ultimi decenni, si stia rivelando un terreno sempre più fertile per la ‘craft beer revolution’, ovvero la scuola di pensiero brassicolo che predilige la preparazione dell’antica bevanda mediante l’utilizzo di materie prime locali: a questo si deve aggiungere che la birra è la bevanda alcolica maggiormente apprezzata nel Paese.

Se, per esempio, in Norvegia la scena di queste tipologie di bevande è dominata dal vino, i neozelandesi preferiscono di gran lunga i prodotti brassicoli (non è una coincidenza che la seconda sia stata una colonia britannica fino agli inizi del ‘900: una terra nella quale gli inglesi hanno introdotto la birra non essendone presenti di tradizionali in precedenza).

Secondo gli ultimi dati infatti la birra detiene il 63% delle quote del mercato interno degli alcolici ed il consumo pro capite annuo si aggira intorno ai 65 litri (mentre il volume complessivo dei consumi di prodotti brassicoli è cresciuto del 7,2% nei primi sei mesi del 2022 riavvicinandosi ai livelli pre Covid).

Come detto in precedenza, qui non esistevano stili birrari tradizionali, ma la bevanda è arrivata insieme agli esploratori europei, fra i quali il celebre navigatore James Cook che, nei suoi diari di viaggio, ha documentato la produzione di una cotta di birra all’abete per la cui preparazione è stato impiegato, come aromatizzante, un decotto di aghi di “rimu” (conifera locale), insieme a foglie di “manuka” (pianta indigena dalla quale si ricava, tra l’altro, un rinomato miele) e melassa.

Proprio partendo da quei primi incontri fra la cultura brassicola inglese e le materie prime offerte dal territorio neozelandese, i moderni mastri birrai locali continuano a sperimentare, senza però abbandonare le plurisecolari tradizioni europee: gli stili maggiormente proposti infatti restano le ales di tradizione inglese (ipa e porter) e, in maniera minore, le lager tedesche.

Grazie ad un numero in costante crescita, oggi i piccoli birrifici attivi sul territorio neozelandese sono oltre 50 e, come visto, offrono un’ampia varietà di stili di origine europea: vi è però un piccolo birrificio che, almeno secondo i dati riportati dal portale ‘Rate beer’, sta dominando la scena artigianale brassicola neozelandese.

Leggendo i resoconti della storia, si scopre come il tutto sia iniziato quasi per gioco dall’idea di due amici, accomunati dalla passione per i sapori buoni e alternativi, uno dei quali era proprietario di un garage in quel di Wellington, la capitale del Paese nonché quella più meridionale di tutto il mondo.

Proprio in onore della piccolissima prima sede, che faceva parte di una stazione di servizio, si chiama ‘Garage project brewery’. Con ogni probabilità non a caso, dati gli antenati di buona parte della popolazione, la birra della casa che va per la maggiore è realizzata nel solco di uno dei più rinomati stili britannici, ovvero lo stout: si chiama ‘Mutinity on Bounty’ (‘Ammutinamento sul Bounty’, ovvero il più celebre atto di sedizione della marina del Regno Unito avvenuto nel 1789).

Per quanto riguarda le caratteristiche peculiari della bevanda, presenta una gradazione alcolica davvero importante: 11%. Viene realizzata tramite l’utilizzo di una pianta tropicale quale l’albero del pane, zucchero di cocco caramellato, vaniglia e platano tostato.

Questa, e tante altre produzioni artigianali nate nella terra dei kiwi negli ultimi decenni, sono un’altra nitida dimostrazione di come la birra abbia saputo conquistare i favori di popolazioni lontanissime per tradizioni e culture da quelle europee, con le quali si sono mescolate, che si contendono il primato di aver inventato secoli fa la prima bevanda brassicola in chiave moderna.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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