La scorsa settimana il viaggio intorno al mondo che vuole raccontare tutto quello che riguarda la birra è approdato nel Paese più esteso del pianeta: la Russia, una terra nota soprattutto per la produzione di un celebre distillato quale la vodka, ma dove anche la birra, da sempre, riveste una grande importanza sociale.
Settore brassicolo russo che, nei secoli, si è sviluppato percorrendo due strade distinte e parallele: la prima, della quale abbiamo parlato nel precedente articolo, è quella che ha portato, nel corso del XVIII secolo, per volontà dello zar Pietro I il Grande, alla nascita dell’unico stile birrario moderno autoctono, conosciuto come imperial stout o russian stout.
Il secondo sentiero percorso invece, che è quello dal quale si è sviluppata la filiera artigianale locale, parte dalla millenaria storia del ‘kvass’, ovvero la birra a base di pane nero o di segale che ancora oggi è una delle bevande preferite dai russi specie nei mesi estivi per le sue qualità rinfrescanti e dissetanti.
Le sue origini sono avvolte nel mistero, anche se tracce di una primordiale versione possono essere trovate in tempi remoti, a cominciare dall’antico Egitto. Nel V secolo a.C. invece Erodoto menzionava una bevanda chiamata Zyphos: veniva preparata lasciando delle croste di pane in ammollo e la fermentazione risultante dava vita ad un prodotto alcolico molto simile.
Non mancano inoltre racconti popolari circa la sua nascita: uno dei più noti narra che la ricetta sia frutto dell’errore di un contadino che cercò di ricavare una farina dal grano bagnato. L’agricoltore provò a preparare del pane, ma senza successo: ottene invece il malto che, con l’aggiunta di un po’ di acqua, fermentò dando vita al primo kvass della storia.
Sembra quindi che, originariamente, venisse preparato in varie parti del mondo: in seguito però, a causa di una combinazione di diversi fattori (come la disponibilità di una vasta gamma di ingredienti e condizioni climatiche favorevoli) ha messo radici qui diventando una delle bevande tradizionali russe per eccellenza.
La prima menzione scritta del kvass in queste terre ad essere giunta fino a noi risale ad una cronaca del 996: per ordine del principe Vladimir, i cristiani appena convertiti venivano accolti con “cibo, miele e kvass”. Oltre dieci secoli di storia nel corso dei quali i russi hanno creato molteplici ricette della bevanda: dolce, acida, densa, frizzante, alla menta, con l’uva passa, alla mela, alla pera, al miele, al pepe, al rafano.
Per questo motivo, all’inizio del XIX secolo, ne esistevano più di mille tipologie, fra le quali quella maggiormente diffusa e apprezzata (come ancora oggi) era quella a base di barbabietola che viene realizzata con o senza lievito: il secondo è il metodo più antico e richiede una fermentazione più lunga di cinque giorni.
La tecnica per la preparazione è molto semplice e veloce, motivo per il quale questa tipologia di kvass viene spesso realizzata in estate per combattere la sete. Occorre una barbabietola da zucchero abbastanza grande e ben matura: la tipologia scura, inoltre, garantisce un risultato migliore.
Come primo passaggio, la pianta viene passata in forno all’interno di una pentola di ghisa per alcune ore, finché non assume una consistenza simile a quella delle prugne secche: viene quindi messa a bollire per alcune ore in modo da ottenere un decotto molto consistente.
Bisogna prestare particolare attenzione a scegliere acqua di buona qualità: oggi l’ideale è usare acqua minerale di fonte o di bottiglia, mentre se si usa quella dell’acquedotto deve essere priva di cloro. Le barbabietole cotte, successivamente, sono riposte in un contenitore, preferibilmente di argilla (il kvass preparato in una brocca di terracotta ha un sapore migliore rispetto a quello conservato nel vetro).
La brocca, inoltre, deve essere riempita in modo tale che in superficie rimanga un po’ di spazio, necessario per la fermentazione e deve essere aggiunta un po’ di patata bollita grattugiata che servirà come fermento: questo ultimo passaggio è indispensabile soprattutto nella ricetta che non prevede l’utilizzo del lievito.
Il kvass deve infine rimanere in una stanza calda per 4-5 giorni, ovvero fino a quando sulla superficie non smette di formarsi una schiuma molto densa che deve essere periodicamente rimossa dal contenitore: a questo punto bisogna filtrare il kvass con una garza per ottenere il prodotto finale che si presenta di color rubino con un aroma piacevolmente acido.
Mentre questa tipologia di kvass oggi viene proposta anche da diversi piccoli birrifici russi che, durante i mesi estivi, la vendono in appositi chioschi dislocati in città e paesi della Russia, una delle versioni più rinomate in passato, attualmente, si produce solo fra le mura domestiche: si tratta della bevanda bianca ai sette malti.
Il suo primo nome, “shti“, deriva dall’antica parola russa e slava “S’ti” che significa bevanda nutriente e fermentata, ma anche zuppa condita con cavolo e altre verdure: viene prodotta utilizzando diversi tipi di farina che vengono mescolati con acqua bollente e lasciati raffreddare per qualche ora.
Successivamente, si aggiunge acqua fredda, si lascia decantare, si filtra attraverso un setaccio e si versa in un barile: alla bevanda che inizia a fermentare vengono aggiunte uva passa e/o zucchero per aumentare la saturazione di anidride carbonica;viene infine versata in bottiglie dove continua la sua fermentazione e, dopo cinque giorni, è pronta per essere degustata.
Il kvass, quindi, è la birra tradizionale russa per eccellenza alla quale, nel corso dei secoli, se ne sono affiancate altre, come la med stavlenyj a base di miele e bacche rosse e la poza della Mordovia realizzata con malto di segale e cereali quali miglio e grano saraceno.
Questo dimostra come la birra russa, con la sua filiera artigianale in continua espansione e costituita da numerosi piccoli birrifici che sfruttano la sconfinata biodiversità del territorio, abbia alle spalle una storia ed una tradizione plurisecolare che non ha nulla da invidiare a quella della conterranea vodka.