HomeBirraGiro del mondo in birra: Sudafrica, prima parte

Giro del mondo in birra: Sudafrica, prima parte

Nelle due precedenti puntate, il viaggio alla scoperta delle birre prodotte in tutto il pianeta ha fatto tappa negli Stati Uniti dove è nato il movimento brassicolo artigianale moderno: una scuola che, con le proposte originali dei suoi mastri birrai, ha contagiato il panorama birrario mondiale.

Offerta americana che, come visto, affonda le proprie radici in un bagaglio storico-culturale di ricette e tradizioni sconfinato: il medesimo discorso è valido anche per il Sudafrica dove approda il tour questa settimana e dove farà tappa anche fra sette giorni.

Con 31 milioni di ettolitri prodotti nel 2022 (in crescita del 19% su base annua) è infatti il Paese che ne produce di più in tutto il continente africano nel quale il settore continua a crescere a ritmi sempre più rapidi: questo il motivo per il quale, a partire dagli anni ’90, ha convogliato gli interessi delle multinazionali che controllano il mercato birrario mondiale.

Lo Stato con tre capitali (Bloemfontein, Città del Capo e Pretoria) però si distingue anche per i consumi: secondo il portale ‘World beer index’  qui se ne degustano 322 litri pro capite all’anno, questo dato lo pone al nono posto a livello planetario nella relativa classifica.

Se quindi anche in questo sconfinato territorio i prodotti brassicoli sono così apprezzati, lo si deve principalmente all’esistenza di due bevande autoctone prodotte da secoli e sempre dalle donne, come avviene presso gli altri gruppi etnici dell’Africa: la birra di marula e la birra Umqombothi.

birra Sud Africa

La marula (Scelerocarya birrea) è senza dubbio una delle più importanti piante indigene africane e ha grandi potenzialità in agricoltura, anche per il futuro. Vanta una storia antichissima: vari reperti archeologici, risalenti anche a 10.000 anni fa, mostrano infatti che l’albero è sempre stato una fondamentale fonte di nutrimento.

Noto come il frutto che “fa impazzire gli elefanti”, è uno dei tesori botanici africani: ricco di minerali e vitamine, è protagonista di numerose leggende e molti sono gli usi a cui ogni sua parte è adibita. La pianta ha una chioma arrotondata e una corteccia ruvida: i fiori nascono in piccoli mazzi e i frutti sono grandi e arrotondati e crescono sia a fine estate che in pieno inverno tra gennaio e marzo.

La produzione di questa bevanda è un vero e proprio evento sociale che vede come protagoniste le donne. La preparazione avviene in casa: dopo la raccolta, i frutti vengono pelati e la polpa fatta a pezzetti in un contenitore dove è aggiunta dell’acqua. Una volta tritata la parte solida, il liquido che si ottiene è molto denso: per questo motivo, l’impasto viene setacciato per rimuovere resti e semi e lasciato riposare per 4 giorni passati i quali è pronta per il consumo.

L’Umqombothi, invece, è una birra tradizionale del popolo Xhosa che vive nella regione di Eastern Cape: viene prodotta con una miscela di farina di mais, malto tritato di mais e di sorgo, acqua e lievito ottenuto dalla radice della pianta ‘moerwortel, Glia gummifera’.

Un elevato quantitativo di malto di mais conferisce alla bevanda una tonalità di colore più chiaro e un sapore dolce, mentre un contenuto superiore di malto di sorgo fa sì che sia più scura. In generale, l’Umqombothi è molto ricca di vitamina B e presenta un basso contenuto alcolico: si presenta densa e cremosa grazie al mais utilizzato ed ha un aroma forte e distintamente acido.

Tradizionalmente viene preparata su un focolare all’esterno delle abitazioni. Gli ingredienti sono mescolati in un recipiente di ghisa, conosciuto in Sud Africa come potjie, insieme a dell’acqua calda: il composto resta sul fuoco una notte intera, per permettere l’inizio della fermentazione.

Successivamente, una piccola parte del mosto viene prelevata e messa da parte, mentre l’impasto rimanente continua a cuocere finché diventa croccante: questa parte del composto è chiamata isidudu e solitamente è fatta raffreddare per un giorno e versata in una pentola di terracotta.

birra tradizionale

La birra ottenuta viene quindi mescolata con un cucchiaio di legno tradizionale chiamato iphini e poi coperta con un coperchio per mantenere il calore e permettere la fermentazione la notte successiva. Per controllare che la birra sia pronta, si accende un fiammifero vicino al piatto: se si spegne rapidamente la birra è pronta, se resta acceso, la birra non è ancora pronta.

Per rimuovere il grano in eccesso, il mosto fermentato è filtrato attraverso un colino a forma di tubo, intessuto con l’erba e chiamato intluzo. Il sedimento sul fondo della pentola è noto come intshela e viene aggiunto alla birra per dare un sapore in più. Il grano rimasto nel filtro è dato in pasto ai polli: quando il produttore di birra lancia questo grano ai polli, ringrazia i suoi antenati per la riuscita del suo prodotto.

Una volta che la birra è stata filtrata, viene versata in un grande contenitore, noto come gogogo, in modo che possa essere condivisa nella comunità in occasione d’importanti avvenimenti come, ad esempio, il ritorno a casa dei giovani uomini dopo la cerimonia d’iniziazione.

Sia la birra di marula che l’Umqombothi rivestono un ruolo sociale e culturale molto importante presso le popolazioni indigene del Sudafrica: proprio dall’incontro fra queste bevande tradizionali e le conoscenze riguardo l’antica bevanda dei coloni europei (prima gli olandesi e poi i britannici) è nato il movimento birrario sudafricano attuale del quale parleremo nella prossima tappa del viaggio.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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