India Pale Ale, Russian Imperial Stout e le altre birre che sono state create per essere vendute all’estero.
Uno degli aspetti più affascinanti della birra artigianale è la sua capacità costante di evolversi, mutare e innovarsi: stili birrari nati in una parte del mondo, magari come riproposizione di antiche tipologie europee, si diffondono in ogni angolo del pianeta e acquisiscono caratteri inediti, dando origine ad un nuovo sottostile.
Oggi questa versatilità è talmente radicata nella cultura birraria internazionale che siamo abituati a considerarlo normale, ma ovviamente non è sempre stato così: le tipologie brassicole si sono influenzate anche nei secoli passati, ma in maniera meno rapida e automatica di quanto avviene oggi.
In genere, nei secoli sorsi, infatti, uno stile rimaneva appannaggio dei consumatori del posto e difficilmente superava i confini nazionali, al punto che, quando lo faceva, acquistava una dimensione quasi autonoma, riportando questa sua predisposizione all’esportazione direttamente nel nome. Oggi andiamo proprio alla scoperta delle birre che hanno mantenuto questo retaggio fino ai nostri giorni.
Partiamo da quello che, senza dubbio, è lo stile da esportazione per eccellenza, quasi scomparso a un certo punto della sua storia e poi riesploso negli ultimi decenni, diventando, con le sue decine di reinterpretazioni, il simbolo della rivoluzione della birra artigianale: stiamo parlando dell’India Pale Ale (IPA).
Contrariamente a quanto si pensa, inizialmente, non furono inventate dai birrifici inglesi per essere esportate nelle Indie dato che erano già prodotte e consumate in patria: ben presto però si rivelarono particolarmente adatte ai lunghi viaggi sostenuti dai mercantili britannici per via della maggiore luppolatura a cui erano sottoposte.
Per un periodo quelle rotte commerciali fecero la fortuna del birrificio Hodgson di Londra che sfruttò un accordo con la Compagnia delle Indie Orientali dagli anni ’80 del XVIII secolo fino alla terza decade del XIXͦ quando questo rapporto di esclusività non fu interrotto ed il mercato liberalizzato.

Ne approfittarono numerosi produttori, soprattutto londinesi, che, dovendo cercare un interlocutore straniero in alternativa al non più redditizio Impero russo, puntarono proprio sulle colonie inglesi in Asia: i birrifici iniziarono così a realizzare birre chiare e con abbondante luppolo sulla falsariga di quelle da esportazione del birrificio Hodgson: queste si dimostrarono piuttosto indicate grazie anche alle caratteristiche organolettiche dell’acqua utilizzata.
La tipologia probabilmente sarebbe scomparsa come tanti altri antichi stili se, come accennato, non fosse stata recuperata e reinventata in tempi recenti dai birrifici americani e poi da quelli di tutto mondo, tanto che oggi, soprattutto al cospetto delle nuove generazioni, le IPA sono una delle birre maggiormente apprezzate.
Le Russian Imperial Stout invece traggono origine dalla lunga tradizione delle Porter britanniche destinate all’export: si tratta di birre tendenzialmente più alcoliche, ricche e corpose di quelle consumate in patria. Il mercato russo era particolarmente interessante per questi prodotti: la leggenda vuole infatti che gli zar li apprezzassero particolarmente tanto, motivo per cui con il tempo, si diffusero la denominazione e la ricetta che conosciamo ancora oggi.
Si tratta di birre scure con aromi decisi di cacao, caffè, caramello e vaniglia: la gradazione alcolica varia fra l’8 ed il 15%: oggi vengono definite anche birre da inverno, o da dessert, visto il loro gusto più morbido e rotondo rispetto alle normali Stout britanniche.
In realtà, dopo le guerre napoleoniche (1803-1815), quella rotta commerciale si interruppe e queste birre cominciarono ad ampliare la loro presenza anche in patria, rimanendo pur sempre uno stile di nicchia. La loro salvezza dal lento oblio a cui erano destinate arrivò con il fenomeno della birra artigianale: alcuni birrifici inglesi, infatti, alcuni decenni fa, ricominciarono a produrle e la tipologia andò incontro a una nuova primavera grazie anche alla diffusione negli Stati Uniti.
Le Foreing Extra Stout, invece, sono delle birre britanniche scure con una gradazione alcolica ancora più elevata (fino al 15%): la loro nascita risale alla fine dell’800 e, fino all’inizio della prima guerra mondiale, si presentavano esclusivamente con un profilo che le rendeva assai più aromatiche sia di quelle standard che di quelle pensate per il mercato russo.
Anche nella cultura brassicola tedesca troviamo uno stile che fa esplicitamente riferimento alle esportazioni: si tratta della Dortmunder Export, una birra a bassa fermentazione e di colore giallo pallido originaria della maggiore città della Ruhr da cui prende il nome. Questa tipologia di bevanda ormai, nella sua autentica ricetta (ovvero con un’abbondante luppolatura e un grado alcolico superiore all’8%) è quasi completamente scomparsa.
Quanto sottolineato per la Export di stampo tedesco, vale anche per le referenze di altre culture birrarie, come quella scozzese e la Scottish Export, ovvero la versione più forte delle classiche birre chiare locali: come in tutti i casi analoghi si tratta di un’interpretazione più alcolica e luppolata. Si presenta inoltre di colore ambrato e l’aroma offre importanti sentori di affumicatura.
Come visto quindi sono diverse, fra le più importanti scuole birrarie, quelle che nel corso della storia hanno creato delle nuove ricette di birra rivisitando alcuni loro grandi classici con l’obiettivo di esportare questi prodotti: un sistema che si è rivelato efficace per far conoscere in tutto il mondo la propria cultura brassicola.




