La scorsa settimana il tour alla scoperta delle bevande tradizionali tipiche di tutte le aree del pianeta si trovava nella macro regione del Maghreb, per la precisone in Algeria. In questo nuovo appuntamento il viaggio si sposta nella parte meridionale-orientale di questo sconfinato continente ed approda in Angola.
In Angola, per quanto riguarda i prodotti tradizionali, troviamo una bibita molto simile a quella realizzata nel territorio algerino, ma anche due antenate delle moderne birre che, preparate con una grande varietà di materie prime, sono diffuse in tutta questa area geografica.
Il leite azedo o latte acido (che per l’appunto ricorda il leben maghrebino), è un beveraggio nonché un sistema di conservazione del latte tipica dell’etnia Mucubal, una delle più antiche di questa regione, che vive nella provincia di Namibe, nel sud dell’Angola.
Il latte vaccino, per prima cosa viene raccolto, e conservato in una zucca sezionata e scavata per ricavarne un recipiente che non viene lavato: il liquido viene quindi lasciato riposare per qualche ora. Una volta che questo è fermentato, viene agitato per più di mezz’ora.
La bevanda o viene consumata da sola o è aggiunta al funje, una polenta di farina di mais e acqua: in questo modo si ottiene il piatto tipico dei Mucubal, ovvero il Maìne o Manhini che solitamente è accompagnato da carne secca che può essere di razza ovina o bovina.
La crema più spessa che si forma sulla superficie del latte, invece, viene amalgamata con della polvere di roccia rossa diventando così un prodotto per la cura del corpo che viene utilizzato soprattutto come protettivo solare: è proprio da questo impasto che deriva il tipico colore rossastro e terreo del corpo dei Mucubal.
I pastori semi nomadi di questa popolazione che vivono sia nelle zone aride della provincia di Bibala che in quella di Namibe, entrambe situate nel sud dell’Angola, si sono sempre nutriti bevendo questo alimento: i cambiamenti climatici che qui si sono accentuati negli ultimi vent’anni però stanno rendendo queste regioni troppo aride per i pascoli.
La sopravvivenza delle razze bovine, per tale motivo, è ora a rischio: di conseguenza, il latte scarseggia, il leite azedo si produce sempre più raramente e la popolazione dei Mucubai sta vivendo una riconversione da gruppo etnico di pastori semi nomadi ad uno di agricoltori stanziali.
All’inizio dell’articolo accennavamo agli antenati dei moderni prodotti brassicoli tipici dell’Angola: specie nel nord del Paese, infatti, si consuma abitualmente una bevanda alcolica fermentata molto antica. Si tratta del tchapalo, ovvero la birra di miglio. La preparazione dura alcuni giorni e segue un vero e proprio rituale affidato per tradizione alle donne, come avviene in altri Paesi africani.
Come primo passaggio, s’immerge il cereale in acqua per un arco di tempo che può oscillare tra le 7 e le 10 ore e lo si lascia germogliare coperto con foglie di manioca affinché si mantenga umido: dopo tre giorni di asciugatura, il miglio viene macinato, riposto in una grande pentola (chiamata canari) con acqua e viene cotto per 6-8 ore.
Al liquido filtrato così ottenuto, che generalmente viene chiamato tossé, prima di lasciarlo fermentare per una notte in modo tale che aumenti la gradazione alcolica, si aggiunge il lievito e, talvolta, viene insaporito con spezie o pepe che donano un profilo aromatico molto deciso alla bevanda.
In passato il tchapalo veniva preparato dalle donne che imparavano il procedimento durante la loro iniziazione alla Sandogo, una società segreta femminile: oggi invece è consigliato durante la gravidanza e si ritiene abbia proprietà lassative. Viene inoltre utilizzato durante i rituali che celebrano gli antenati e gli spiriti.
La bevanda non si mantiene a lungo e, per tale motivo, è venduta solo localmente e consumata poco dopo la sua produzione: questo rende difficile la sopravvivenza di tale prodotto tradizionale con una storia plurisecolare e che riveste un ruolo di grande importanza culturale presso numerosi gruppi etnici angolani.
Se il tchapalo è tipico soprattutto delle regioni settentrionali dell’Angola, nel sud del Paese, specie nelle aree affacciate sull’oceano Atlantico (compresa quella dove è situata la capitale Luanda), è assai diffusa un’altra antenata delle moderne birre, ovvero la bevanda fermentata realizzata con le banane.

La ricetta consente di poter utilizzare tutte le qualità di questo frutto: l’importante è che sia ben maturo. Il processo produttivo, come primo passaggio, prevede che da essi si ricavi l’umutobe, ovvero il succo fresco di banane, molto dolce e zuccherato che non presenta alcuna gradazione alcolica e per questo può essere bevuto anche dai bambini.
Quando successivamente lo si lascia fermentare con l’aggiunta di lieviti selvatici prodotti dalle farine di cereali quali il sorgo, il miglio ed il mais, si ottiene appunto la birra di banane: si tratta di una bevanda molto dissetante, con una gradazione alcolica che oscilla fra il 4,8 ed il 5,2%.
Il prodotto presenta il tipico aroma dei prodotti brassicoli affumicati al quale si accompagna quello del concentrato di banane. La birra realizzata con tale frutto viene consumata prevalentemente nel corso delle festività religiose più importanti e, per questo motivo, come il leite azedo ed il tchapalo, ricopre un ruolo culturale di grande rilevanza presso diversi gruppi etnici angolani.




