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Torna a far parlare di sé la peste suina africana

Torna a far parlare di sé la peste suina africana che da qualche anno tiene in scacco il Nord Italia diffondendosi lentamente, ma inesorabilmente, tra le popolazioni di cinghiali.

È di pochi giorni fa la notizia che il primo cinghiale infetto è stato trovato in provincia di Parma, seppur abbastanza lontano dall’area di produzione del prosciutto di Parma, il settore che potrebbe essere più drammaticamente colpito da un diffondersi fuori controllo della malattia.

La carcassa di un cinghiale colpito da PSA è stata rinvenuta in comune di Tornolo, nell’estremo lembo sud occidentale della provincia di Parma al confine con quelle di Piacenza e Genova; diverse valli e gioghi dividono queste montagne dalla conca di Langhirano, ma la preoccupazione sale. Il problema è che nel momento in cui venisse rilevato un caso di infezione nell’area di produzione del prosciutto di Parma, scatterebbe immediatamente il blocco delle esportazioni, il che getterebbe nella crisi l’intero settore, decisamente trainante per quest’area, ma anche un pilastro del food italiano. Seppure la peste suina non sia una problematica diretta per l’uomo infatti, per evitare il diffondersi dell’epidemia le normative prevedono che non si possano importare carni da zone interessate dalla malattia.

 

“Siamo di fronte ad una situazione estremamente critica, per la quale occorre affrontare i mesi a venire in modo coordinato e con vero spirito emergenziale – ha detto il Presidente della Provincia di Parma, Andrea Massari – è necessario prima di tutto incentivare l’attività di contenimento dei cinghiali e di monitoraggio delle carcasse per impedire la diffusione del virus, utilizzando a pieno, senza indugio, i contributi economici e il supporto tecnico che le strutture regionali forniscono per supportare la Provincia e la preziosa collaborazione prestata da tanti Atc del nostro territorio”. Ma la caccia stessa, che qualcuno invoca come la soluzione definitiva in grado di ridurre drasticamente il numero dei cinghiali (operazione peraltro ormai necessaria in varie aree per l’eccessivo popolamento raggiunto), per i più aggrava il problema invece di risolverlo perché, così come condotta attualmente, in battuta, favorisce la mobilità degli individui (in fuga) e quindi la diffusione della malattia.

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Redazione ApeTime
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