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Giro del mondo in birra: Italia, seconda parte

Torniamo con la seconda parte del nostro tour brassicolo in Italia, approfondendo come le nostre birre siano diventate protagoniste di un numero crescente di eventi, richiamando una grande folla di appassionati.

Nella scorsa puntata, la prima dedicata alla storia brassicola del nostro Paese, abbiamo visto come, nonostante siano passati duemila anni da quando Tacito chiamava la birra ‘vinus corruptus’, in Italia permanga ancora una certa riluttanza ad attribuirle la stessa dignità riconosciuta al vino, da sempre considerato bevanda nobile per eccellenza.

Sicuramente, negli ultimi anni, a ridurre il numero degli enofili scettici, ha contribuito la diffusione di prodotti di qualità e soprattutto un’alfabetizzazione birraria senza precedenti. Il periodo tra la fine degli anni 90 ed oggi può essere definito il “secolo breve” della birra italiana tanto è stato denso di cambiamenti: l’exploit del numero di produttori di birra artigianale, la nascita di eventi e appuntamenti dedicati, la grande attenzione da parte dei media e dei gestori di locali e ristoranti nei confronti delle produzioni artigianali nostrane.

Le nostre birre, inoltre, sono diventate protagoniste di un numero crescente di eventi come degustazioni pubbliche, corsi di cultura birraria e grandi rassegne nazionali ed internazionali che richiamano una folla di appassionati: ma come è iniziato tutto?

In Italia, l’inizio della produzione di birra artigianale, o l’avvento della ‘craft beer revolution’, ha una data precisa: il 1996, ovvero quando è diventato legale produrre la bevanda anche entro le mura domestiche e per fini non commerciali. Questa nuova normativa ha trovato subito il favore degli italiani, sempre più attratti da prodotti originali e di qualità.

In quell’anno, aprirono i battenti i primi sei piccoli birrifici nostrani: il Birrificio Italiano di Lurago Marinone nel comasco, il Birrificio Lambrate di Milano, Le Baladin a Piozzo, nelle Langhe, Beba di Villar Perosa (TO), il Mastro Birraio di Padova e, più distaccato geograficamente, il birrificio laziale Turbacci che aprì a Mentana, località alle porte di Roma.

Ad onor del vero, bisogna però ricordare alcune brevi iniziative che risalgono agli inizi degli anni ’80: pionieri in questo campo sono stati infatti Peppiniello Esposito di Sorrento che inaugurò la sua birreria St Josef’s nel lontano 1980 e i fratelli Oradini a Torbole, sul lago di Garda.

A quel tempo però un vuoto normativo, che creava non pochi problemi burocratici, unito all’assenza di una rete di fornitori specifici per il canale artigianale (impianti, materie prime, assistenza tecnica), trasformarono in meteore queste prime eroiche iniziative.

La legge del 1996 invece creò una situazione decisamente più favorevole per l’avvio di produzioni artigianali della bevanda: per questo motivo, fin da subito, altri intraprendenti mastri birrai seguirono le orme dei pionieri creando quel circolo virtuoso che avrebbe portato ad un tasso di crescita impensabile del numero di piccoli birrifici attivi sul nostro territorio.

Questa intraprendenza, ha fatto sì che oggi possiamo parlare di un vero e proprio “Made in Italy” anche per quanto riguarda la birra artigianale che, in attesa di imminenti nuove produzioni con malto e luppolo autoctoni, si manifesta principalmente in tipologie originali come le birre alle castagne, al farro, alla frutta e con il mosto di vino: queste ultime riconosciute a livello internazionale come autentico stile brassicolo italiano, il primo della nostra storia birraria.

birra alla frutta

Le birre che contengono una percentuale di uva, mosto o mosto cotto, si collocano nella terra di mezzo fra il mondo del malto e del luppolo e quello del vino e, proprio in Italia, hanno trovato una rapida diffusione grazie all’antica vocazione nostrana per il vino ed alla grande inventiva del settore brassicolo specie in questi ultimi anni.

Trattandosi di un settore nuovo, e in continua evoluzione, le interpretazioni dei birrifici sono molto diverse fra loro: dalle birre che puntano sulla freschezza e sull’acidità, ottime come aperitivo, si arriva a prodotti più complessi e strutturati, da pasto o da meditazione.

In generale, oltre a quelle al vino, che vengono invecchiate in botti di rovere, attualmente abbiamo una trentina di birre alle castagne, ognuna diversa dall’altra poiché prodotta con varietà locali e per di più utilizzate in modi differenti: secche, arrostite, affumicate e così via. A queste si uniscono decine di birre al farro e svariati prodotti alla frutta, anche esotica.

Oggi infine possiamo contare circa mille produttori dotati di impianti propri, tra microbirrerie e brewpub, ancora maggiormente concentrati al nord, ma ormai ben presenti su tutto il territorio, isole comprese: segno tangibile di come, grazie ad una produzione variegata e di qualità, la birra artigianale nostrana (come dimostrato dalla crescita dei consumi degli ultimi anni) stia entrando sempre più nelle tradizioni italiane.

Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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