Tra aperture di microbirrifici e brewpub, lancio di nuove referenze birre artigianali, corsi, riviste e competizioni, il mondo della birra in Italia è più vivo che mai!
Dopo la tappa in Israele ed una settimana di pausa (durante la quale abbiamo scoperto che in Norvegia l’unica birra importata, e non prodotta da un grande gruppo internazionale, ad essere venduta negli esercizi commerciali, è la greca Mythos di cui abbiamo parlato in occasione della sosta in Grecia), riparte il viaggio alla scoperta dei prodotti brassicoli di tutto il mondo, e lo fa dal nostro Paese: l’Italia.
Nonostante siano passati duemila anni da quando lo storico romano Tacito chiamava la bevanda dei galli “vinus corruptus”, in Italia permane ancora una certa riluttanza ad attribuire alla birra la stessa dignità riconosciuta al vino, da sempre considerato bevanda nobile per eccellenza.

La penisola italiana, come noto, ha una tradizione vinicola che affonda le radici nell’antichità, ma anche la birra nostrana vanta una storia che merita di essere studiata: purtroppo però le ricerche in materia sono molto rare ed il ruolo della birra, soprattutto in epoca medioevale, resta ancora del tutto sconosciuto.
Tra i primi popoli estimatori, troviamo gli Etruschi, amanti di una bevanda poco alcolica ottenuta dalla fermentazione di frumenti antichi e chiamata Pevakh. Anche presso i romani, grazie al commercio con i popoli del Mediterraneo, ma soprattutto dopo il contatto con le popolazioni germaniche, si diffusero produzione e consumo, e la birra trovò il favore anche di famosi personaggi politici.

Se non si ha molta memoria storica della bevanda, questo, con ogni probabilità, lo si deve al fatto che, essendo prediletta dalle popolazioni celtiche e nordeuropee, ha sofferto lo scontro ideologico con il vino, amato e decantato dai romani e dai greci: un conflitto che nei secoli ha assunto anche connotati religiosi.
Questo si è verificato nonostante, come dimostrano alcuni manoscritti databili alla prima metà del VI sec., già al tempo di San Benedetto da Norcia, nell’Abbazia di Montecassino (Lazio) si producesse una bevanda ottenuta dalla fermentazione dei cereali (la prima birra d’abbazia italiana). Alla Chiesa però la birra non piaceva: per questo motivo, fino a tutto il VI secolo, ufficialmente, la pratica di bere e produrre birra venne considerata come un’adesione ai riti e alle tradizioni pagane, tipiche del nord Europa.
Per un primo segnale di distensione, si dovette attendere il sinodo di Aquisgrana (816), quando la produzione ed il consumo di birra vennero ufficialmente accettati all’interno della regola benedettina. Fino alla metà del XIX secolo la birra italiana avrebbe comunque mantenuto una dimensione artigianale ed un consumo prettamente locale.
Risale invece al 1789 la prima testimonianza di una produzione destinata ad una collettività più ampia: a meno di due mesi dalla presa della Bastiglia infatti, le autorità sabaude, concessero a Giovanni Baldassare Ketter di Nizza Monferrato il privilegio di poter fabbricare birra “per la città e per il suo contado”.
La nascita dell’industria birraria italiana (XIX sec.) è invece legata alla lunga dominazione dell’impero Asburgico ed all’iniziativa di alcuni industriali tedeschi che hanno intravisto nel mercato italiano un possibile bacino d’espansione delle proprie attività. Per questo motivo, alcuni produttori, noti in Europa, come Dreher (Trieste, 1865), Wuhrer (Brescia, 1829), Von Wunster (Seriate, Bergamo, 1879), Metzger (Torino, 1848) e Paskowski (Firenze, 1846), aprirono al di qua delle Alpi i propri stabilimenti produttivi.

Tra le produzioni italiane del XIX secolo, ricordiamo la Spluga che iniziò la sua attività nel 1840 in Valchiavenna , la Peroni fondata a Vigevano nel 1845, la Menabrea inaugurata a Biella (1846), “La Fabbrica di Birra e Ghiaccio Moretti” aperta a Udine nel 1859, la Poretti a Induno Olona nel 1877 e la Pedavena nelle Alpi bellunesi (1897).
Cosa dire invece della birra artigianale nostrana, ovvero della ‘beer craft revolution’ della quale abbiamo parlato in più occasioni? Inutile negare l’ evidenza: fino a poco più di vent’anni fa era il deserto, ovvero non esistevano prodotti brassicoli italiani di alta qualità e gli unici con questa caratteristica offerti dal nostro mercato erano quelli importati dal nord Europa.

Le nostre birre artigianali, inoltre, sono diventate protagoniste di un numero crescente di eventi come degustazioni pubbliche, corsi di cultura birraria e grandi rassegne nazionali ed internazionali che richiamano una folla di appassionati: ma come è iniziato tutto? Di questo, e non solo, parleremo la prossima settimana nella seconda puntata dedicata al panorama brassicolo nostrano.




