Dopo la pausa estiva, riparte il viaggio alla scoperta delle birre prodotte in tutto il pianeta e delle storie e delle curiosità ad esse collegate. Nella tappa precedente il tour era stato in in Suriname, uno dei Paesi più poveri e meno sviluppati del mondo. Oggi approda in Svezia.
Aspetto che influisce negativamente anche sullo sviluppo del settore birrario come dimostra il fatto che qui esista un solo vero e proprio birrificio: questo nonostante i consumi interni siano elevati grazie ai numerosi turisti amanti dell’ecoturismo che ogni anno visitano il territorio.
Scenario che cambia completamente in occasione della ripartenza e non solo per quanto riguarda l’aspetto economico che incide sulla crescita della produzione brassicola, ma soprattutto per la tradizione plurisecolare in tema di birra: il viaggio infatti torna in Europa ed approda in Svezia.
Come noto questa, insieme agli altri Paesi scandinavi, era la patria dei Vichinghi (vissuti fra il 793 ed il 1066), una delle popolazioni della storia presso la quale la bevanda ha rivestito un ruolo culturale di maggiore importanza, soprattutto per quanto riguardava i guerrieri.
Veniva infatti considerata una vera e propria bevanda sacra ed un alimento centrale nella vita di tutti i giorni per le sue proprietà nutrizionali: in modo particolare era fondamentale per i combattenti in procinto di partire per i loro celebri viaggi via mare (sarebbero arrivati fino alle Americhe) dato che, grazie alla fermentazione, intesa come purificazione, si riteneva trasmettesse energia vitale.
Proprio per questo motivo, durante le lunghe traversate, portavano sempre con loro delle botti di birra: con ogni probabilità, come riportato da diversi studiosi, si trattava di versioni con un’elevata gradazione alcolica che consentiva alle bevande di non deperire rapidamente dal punto di vista qualitativo, nel corso dei viaggi.
Gli antichi prodotti brassicoli però non rivestivano un ruolo centrale nella cultura vichinga solo in occasione delle esplorazioni: essi infatti erano fondamentali anche nel corso di diverse cerimonie, in primis quelle funebri dato che le birre funerarie facevano parte di un vero e proprio rito (chiamato ‘Sjaund’), scandito da una serie di bevute in onore del defunto, che si svolgeva sette giorni dopo la sua morte.
Con ogni probabilità, proprio per differenziare le finalità di utilizzo, ne esistevano due versioni: quella a bassa gradazione alcolica destinata alle celebrazioni sacre conosciuta con il nome di ‘mungat’ e quella più ‘forte’ che veniva preparata per i combattenti e i viaggiatori e veniva chiamata “Bjorr” o “Oi” (da questi termini, con ogni probabilità, secondo gli studiosi, sono derivati quelli anglosassoni ‘beer’ e ‘ale’).
La centralità culturale della bevanda presso i vichinghi non avrebbe non potuto influenzare chi avrebbe abitato questo vasto territorio dopo di loro e, proprio per questo motivo, in Svezia, fino a due secoli fa, nessuna fattoria poteva essere definita tale senza un birrificio casalingo.
Qui la bevanda, prodotta in piccole quantità, veniva realizzata con malto d’orzo, frumento, avena o segale a seconda del cereale coltivato localmente: a questo venivano aggiunti, oltre ovviamente all’acqua, linfa di betulla, luppolo, miele o zucchero, lievito e rametti interi di ginepro.
La fermentazione veniva effettuata in vasche di legno (chiamate ‘rostbunn’) che erano dotate di un rubinetto nella parte inferiore il quale consentiva di depositare gli strati dei vari componenti: questa era la fase più delicata e importante del procedimento dato che il liquido, per poter fluire, non doveva essere troppo denso ma, al tempo stesso, non dovevano essere dispersi gli ingredienti che avrebbero determinato il profilo aromatico della bevanda.
Ciascuna famiglia aveva una propria ricetta che faceva in modo che la birra fosse più o meno alcolica e variasse di aspetto: in linea generale però si trattava quasi sempre di bevande dal sapore decisamente affumicato, amarognolo, fruttato e con sentori di ginepro.
Questa metodologia di produzione sarebbe andata lentamente in disuso a partire dall’inizio del XX secolo quando il panorama birrario svedese avrebbe conosciuto una progressiva e costante industrializzazione con la nascita di realtà produttive di tutte le dimensioni, soprattutto artigianali che, prendendo spunto dalle plurisecolari tradizioni, avrebbero radicato anche qui la moderna ‘craft beer revolution’, ovvero la realizzazione di birre mediante l’utilizzo di materie prime locali.
In tal senso, una notevole accelerazione si è registrata a partire dagli anni novanta del secolo scorso: oggi infatti sono operativi in Svezia più di 100 birrifici artigianali, un numero davvero molto elevato specie se si considera che la popolazione del Paese ammonta a 10 milioni di abitanti.
Questo ha dato vita ad un panorama brassicolo sempre più variegato, dove vengono proposti quasi tutti gli stili brassicoli: in modo particolare amber e brown ale, sour/wild Ale, barley wine, stout, porter e ipa. I mastri birrai svedesi, inoltre, ripropongono antiche bevande come quelle che prevedono l’utilizzo di botaniche quali i ramoscelli di ontano, di angelica e le bacche di ginepro.
Grazie al mix composto dalle tradizionali ricette plurisecolari e dall’odierna varietà e qualità dei prodotti, si può quindi sottolineare come oggi la Svezia rappresenti una delle realtà più affascinanti nell’ambito dell’immenso panorama brassicolo artigianale mondiale.