Nel corso dei secoli la bevanda ha vissuto molteplici cambiamenti per quanto riguarda le metodologie di produzione, gli ingredienti utilizzati e, di conseguenza, il profilo aromatico: questo è dipeso sia dalle scelte dei mastri birrai che dalle innovazioni tecnologiche, ma anche dalle disposizioni governative.
Come abbiamo avuto modo di vedere nel corso del viaggio della rubrica ‘Giro del mondo in birra’, ad esempio, in Gran Bretagna, fino agli inizi del ‘700 era severamente vietato l’utilizzo del luppolo nella produzione birraria: in precedenza infatti non se ne conoscevano le caratteristiche organolettiche e quindi come avrebbe potuto modificare aromi e sapori della birra.
Un altro esempio di come si sia modificata l’arte brassicola, è stata l’introduzione, a partire dal 1642, dell’innovativo sistema dell’essiccazione del cereale in forni a getto d’aria (anziché a fiamma diretta), la cui tecnologia consentiva di ottenere colorazioni (e conseguenti sfumature aromatiche) più chiare rispetto al passato.
Si tratta solo di due degli sviluppi che hanno portato sia ad un grande ampliamento del numero degli stili brassicoli, unito ad un crescente miglioramento qualitativo dell’antica bevanda, che al progressivo declino di alcune metodologie produttive: fra queste ricordiamo quella che, per la produzione, prevedeva l’utilizzo di pietre roventi.
Vi sono però birre tradizionali che ancora oggi vengono realizzate e continuano a rivestire un ruolo centrale nelle tradizioni di alcuni Paesi: questo è il caso del Sahti finlandese, bevanda della cui produzione la prima testimonianza scritta risale al 1792.
Un prodotto la cui centralità nella storia della Finlandia è dimostrata dal fatto che a questo evento è dedicato un giorno di festa nazionale: il 13 ottobre è infatti il ‘Giorno della birra finlandese’ che celebra anche la nascita del primo vero e proprio birrificio locale, il Synebrychoff fondato ad Helsinki nel 1819, che ancora oggi è uno di quelli che produce questa tipologia brassicola.
L’etimologia della parola finnica ‘Sahti’ è incerta e, per tale motivo, esistono diverse testimonianze discordanti a riguardo: con ogni probabilità però deriva dal termine della lingua germanica saf, il quale si è poi trasformato nella parola scandinava saft che significa “succo“.
La bevanda, della quale oggi esistono sia versioni artigianali che commerciali, viene preparata con materie prime che includono, oltre al malto d’orzo, anche altri cereali quali segale, orzo, grano, avena e luppolo: questi vengono fermentati con l’aiuto del lievito impiegato per produrre il pane. Alcune varianti, inoltre, prevedono l’utilizzo del ginepro.
A seconda del produttore e degli ingredienti scelti per variare la ricetta originale, cambiano notevolmente sia il colore con cui si presenta (si passa dal giallo chiaro al marrone scuro) sia la gradazione alcolica che varia dal 6 al 12%: una caratteristica comune a tutte è invece quella di presentare un gusto lievemente zuccherato.
Le peculiarità uniche che la distinguono da tutte le altre birre sono date dal metodo di lavorazione che prevede che la birra non sia né pastorizzata né filtrata e che la fermentazione non venga interrotta: questa metodologia produttiva le rende molto simili alle birre realizzate sulle pietre roventi alle quali abbiamo accennato in precedenza.
Il primo passo necessario per produrre il Sahti prevede che in una caldaia venga preparato un infuso d’acqua e cereali che viene fatto prima bollire e poi lasciato riposare per un’intera notte. Il giorno seguente, il birraio inizia il proprio lavoro lavando il recipiente in legno necessario per preparare il decotto di ginepro caldo.
Successivamente, il malto viene versato nel tino di miscela e sopra di esso si posiziona l’ infuso: questo è aggiunto gradualmente e, in seguito ad ogni addizione, viene lasciato riposare per 45 minuti circa. Per alzare la temperatura, come richiede la ricetta tradizionale, si utilizza un decotto sempre più caldo.
L’impasto viene poi trasferito manualmente dalla caldaia, dove è portato alla temperatura di bollitura, nel ‘Kuurna’: si tratta di una grande vasca in legno sul cui fondo sono stati precedentemente posti dei rami di ginepro che fungono da fondo filtrante per il liquido.
Il mosto viene fatto defluire e a circa metà del processo di travaso il flusso viene interrotto e la cotta che ne risulta è riversata nell’impasto rimasto nella caldaia: quando il tutto è posizionato nel ‘Kuurna’ ed il tappo di scolo è aperto, il contenuto viene fatto defluire lentamente in un recipiente metallico.
In seguito, il composto è trasferito in vecchi contenitori per il latte i quali vengono immersi in acqua fredda: qui viene raffreddato e portato a 23°C circa per poi essere riposto in una botte di legno dove viene aggiunto il lievito. La fermentazione dura due giorni trascorsi i quali, quello che ormai è un semi-liquido, viene trasferito in grosse botti poste al freddo: qui avviene la fermentazione secondaria, più lenta (una settimana circa) che permette di ottenere la bevanda.
La ricetta, infine, prevede che vengano utilizzate solo materie prime tradizionali, senza l’aggiunta di additivi: questo è il motivo per cui il Sahti è una delle ultime bevande d’Europa a poter essere definita ‘birra antica’, come dimostra il riconoscimento di ‘specialità tradizionale garantita’ ricevuto dall’Unione Europea che lo colloca nella storia brassicola del vecchio continente.