La birra artigianale italiana arriva a Vinitaly per presentare la sua filiera produttiva.
Da qualche decennio a questa parte, i mastri birrai di tutto il mondo fanno sempre più ricorso alle materie prime frutto delle coltivazioni locali. Una scelta che conferisce alle loro birre profili aromatici unici, inconfondibili e sempre più complessi: questo quanto avviene anche nel nostro Paese grazie alla grande biodiversità che offre.
Malti d’orzo coltivati nel sud e nel centro Italia, luppoli del Veneto, dell’Abruzzo e dell’Emilia Romagna, grani antichi della Liguria e della Sicilia che si miscelano con prodotti del territorio quali il riso carnaroli del Piemonte, la castagna della Garfagnana, i fichi del Cilento e le arance di Sicilia in oltre mille birre che raccontano la ricchezza di materie prime del territorio italiano.
Questo è quanto emerge dalla prima indagine del ‘Consorzio della birra artigianale italiana’ diffusa in occasione di Vinitaly (svoltosi a Verona dal 2 al 5 aprile) dove l’associazione ha raccolto i produttori d’eccellenza con birre 100% italiane per presentare la propria filiera al mondo del vino.
La biodiversità che caratterizza la birra artigianale italiana, rendendola unica e sempre più apprezzata in Italia e all’estero, è un patrimonio che va tutelato partendo proprio dalle materie prime che offrono i diversi territori – spiega il Consorzio – come le numerose varietà di cereali coltivate lungo la penisola o le diverse qualità di luppoli che donano profumi e sentori distintivi alla bevanda a seconda del luogo di coltivazione: dal sentore floreale a quello erbaceo piuttosto che l’aroma di frutta tropicale.
La varietà offerta dal nostro territorio arricchisce la produzione brassicola nostrana con prodotti naturali quali: carrube, scorze di mandarino o limone di Sorrento, fichi del Cilento, mirto di Sardegna, castagne degli Appennini, canapa ed altri ingredienti con i quali i mastri birrai raccontano la loro terra.
La filiera artigianale italiana oggi conta 1085 attività produttive che, dal campo alla tavola, danno lavoro a circa 93.000 addetti, per una bevanda i cui consumi sono destinati quest’anno a superare il record storico di oltre di 2 miliardi di litri, generando un volume di fatturato che, considerando tutte le produzioni, vale 9,5 mld di euro.
A fare da traino sono le birre artigianali realizzate con l’utilizzo di ingredienti particolari, non pastorizzate e non microfiltrate per esaltare le caratteristiche aromatiche di un prodotto apprezzato da tutte le fasce di età, con i giovani che sempre più cercano la degustazione di qualità più che di quantità: due boccali su tre, infatti, come riportano le statistiche, sono riempiti con prodotti nazionali.
La scelta della birra come bevanda – ha sottolineato il Consorzio – negli anni è diventata sempre più raffinata: questo grazie soprattutto ad un’offerta assai variegata e caratterizzata da specialità altamente distintive delle diverse zone di origine.
Si tratta di prodotti brassicoli molto spesso realizzati da giovani mastri birrai che apportano alla filiera profonde innovazioni: la certificazione d’origine a chilometro zero, la collaborazione diretta con le aziende agricole e la produzione di specialità sempre più originali. A queste si uniscono forme distributive innovative come i “brewpub” o l’apertura di banchi presso i mercati agricoli.
Si stanno inoltre creando nuove figure professionali, come il “degustatore professionale di birra” che conosce le caratteristiche organolettiche e la storia dei vari stili ed è capace d’interpretarne, tramite alcune tecniche d’osservazione e degustazione, i caratteri principali di aroma, gusto, composizione, colore e corpo: questo consente d’individuarne gli eventuali difetti e di suggerire gli abbinamenti ideali a tavola.
Non mancano neppure numerosi addetti coinvolti nello sviluppo del turismo birrario, che portano avanti l’ambizioso progetto di creare almeno una strada della birra in ogni regione d’Italia per far conoscere i territori e presentare le sempre più numerose produzioni locali.
Un sistema di qualità e varietà che però – come ha sottolineato il Consorzio – è minacciato dai cambiamenti climatici, con siccità ed eventi meteo estremi che, nel 2022, in Italia hanno fatto segnare un -34% nel raccolto di orzo da birra rispetto al 2019.
L’omologazione e la standardizzazione delle produzioni a livello internazionale, infine, mettono a rischio anche gli antichi semi della tradizione italiana, custoditi per anni da generazioni di agricoltori: si tratta di quei cereali che donano alle birre artigianali italiane qualità aromatiche uniche.