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Le donne nel mondo della birra in Europa

Le donne nel mondo della birra in Europa? Oggi hanno un ruolo marginale, ma una volta non era così: anzi, la produzione era affidata a loro, come ancora oggi avviene in Africa.

In diverse tappe della rubrica ‘Giro del mondo in birra’ dedicate al continente africano, abbiamo sottolineato come la produzione della bevanda tradizionale sia affidata alle donne che la preparano seguendo le ricette tramandate, soprattutto oralmente, nel corso dei secoli.

Birre artigianali prodotte all’interno delle mura domestiche e conosciute con un nome diverso a seconda della regione dell’Africa: abbiamo, ad esempio, il ‘tchapalo’ (o birra di miglio) tipico della Costa D’Avorio, e di parte della regione del Sahel, oppure il ‘chakalow’, realizzato con il medesimo cereale, tradizionale del Gambia.

E cosa dire del Burkina Faso, uno dei Paesi più poveri del mondo, dove esiste la federazione nazionale delle produttrici di birra  (la ‘Fédération Nationale des Dolotiéres du Burkina’ dato che qui la birra è conosciuta con il nome di ‘dolo’)  che si pone come obiettivo quello di potenziare e far crescere le singole attività di quello che, in quest’area, è conosciuto come uno dei mestieri femminili più antichi.

Questo quanto avviene ancora oggi in Africa, dove le donne rivestono un ruolo di centrale importanza sul palcoscenico della bevanda: e ciò accadeva anche in Europa, dove, nei secoli scorsi, la storia della birra è stata a lungo dominata da personalità femminili.

Così è stato almeno fino a quando il gruit veniva abitualmente utilizzato per la produzione della bevanda al posto del luppolo: si tratta di una miscela di origine tedesca che, nella maggior parte dei casi, è composta da mirto di palude, achillea millefoglie e rosmarino. Questo mix di erbe apportava note amare e aromatiche alla birra, esattamente come il cereale che lo avrebbe sostituito.

Le donne, spesso vedove con figli ed escluse da altre opportunità lavorative, infatti cercavano di guadagnarsi da vivere  brassando e vendendo davanti alle porte delle proprie abitazioni birre aromatizzate con un mix di erbe ricavato utilizzando la flora spontanea del territorio.

In Gran Bretagna, erano conosciute come ‘alewives’ o ‘brewsters’: due termini che sarebbero caduti gradualmente in disuso man mano che il monopolio del brassaggio avrebbe abbandonato l’universo femminile per trasferirsi in quello maschile. Queste intraprendenti mastre birraie, producevano, in diversi giorni della settimana, delle piccole botti di birra, in modo tale da poter servire ai propri clienti una bevanda sempre fresca e ricca di aromi.

Tuttavia, il ricorso al gruit per conferire alle diverse tipologie brassicole le loro molteplici proprietà aromatiche, presentava un limite molto importante: il difetto principale di questo composto di erbe, infatti, era la scarsa conservabilità che dava ai prodotti brassati, di gran lunga inferiore a quella garantita dall’aggiunta del luppolo.

Questa proprietà specifica, era destinata a rivoluzionare il mondo della birra dato che, fino a quando si è fatto uso del poco affidabile gruit, le birre non hanno mai manifestato grande resistenza alle infezioni batteriche o fungine e, pertanto, dovevano essere consumate in fretta, prima che le alterazioni le rendessero imbevibili.

L’esigenza di consumarle rapidamente, si prestava in modo ottimale a favorire le piccole produzioni domestiche e quindi a promuovere l’attività artigianale delle ‘alewives’. Il luppolo, invece, dato che allungava i tempi di conservazione delle qualità organolettiche ed aromatiche della birra, ne faceva un prodotto che si prestava alla produzione su vasta scala.

L’impiego di questo cereale, avrebbe quindi aperto la strada alla costruzione di grandi impianti, realizzati grazie a cospicui investimenti ed a grandi capitali, quasi totalmente controllati dagli uomini: per questo motivo, il controllo della produzione brassicola è passato gradualmente in mani maschili.

Il paradosso risiede nel fatto che fu proprio una donna, una personalità eclettica, Hildegard von Bingen (1098-1179), a determinare il successo del luppolo. Scrittrice, botanica, musicista e monaca benedettina dell’Abbazia di St. Rupert in Germania, i suoi studi sulle proprietà stabilizzanti e conservanti del cereale, una volta pubblicati, spianarono infatti la strada alla sua introduzione nell’industria birraria.

Il sodalizio birra-luppolo iniziò così a diffondersi a partire dal XII secolo: in Gran Bretagna, però, dove fu molto più lunga la resistenza alla sua introduzione fra gli ingredienti previsti dai vari stili brassicoli, la produzione ed il consumo di birra luppolata iniziarono nel 1700.

A partire da allora, in Europa, le donne hanno sempre rivestito un ruolo di secondo piano nel mondo della birra: una situazione che però potrebbe cambiare nei prossimi anni, così come è successo in molteplici settori produttivi nei quali hanno acquisito ruoli e compiti sempre più importanti.

Un cambiamento che, ad esempio in Italia, potrebbe essere frutto anche del lavoro svolto dall’associazione ‘Donne della birra’, fondata a Genova nel 2017, che ha come obiettivo primario quello di promuovere il lavoro da loro svolto lungo tutta la filiera: un progetto che prende le mosse dalla crescente attenzione, anche nel nostro Paese, per l’antica bevanda da parte del mondo femminile.

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