Cocktail list: quando mettere sia signature che classici?
C’è chi, oltre alla sezione dedicata a signature e twist, nella lista dà spazio ai classici; chi si limita a segnalare in una postilla la possibilità di ordinarli; e chi invece non vi fa alcun riferimento.
Che cosa è meglio fare? Dipende. Non esiste una strategia valida per tutti. La scelta va fatta sulla base del target del locale e delle sue caratteristiche. Così, per esempio, “in un bar molto frequentato con numerosi posti a sedere è impensabile inserire una selezione importante di signature e contemporaneamente la possibilità di realizzare tutti i classici, perché servirebbero spazi immensi sia nel back office che sullo stesso banco bar e si rischierebbero delle attese non tollerabili per ricevere un drink. Mentre in un bar con pochi posti a sedere e un mood più lento non ci sarebbero problemi a proporre entrambe le categorie”, puntualizza Simone Lutz, tra i titolari del Black Sheep di Bolzano.
Sulla stessa scia, Luca Marcellin, titolare del Drinc a Milano osserva: “In generale, il vantaggio di segnare in lista i classici è quello di rassicurare il cliente e di farlo sentire meno vincolato ai signature, ma lo svantaggio è che l’avventore non è invogliato a provare nuovi gusti. Se si scrive una postilla, invece, il consumatore sarà propenso ad assaggiare i signature, ma restio a ordinare un classico per paura di non conoscere bene il drink. Infine, se si decide di non fare alcun riferimento ai classici, il cliente è portato a provare qualcosa di inedito, ma spesso tende a ordinare sempre lo stesso cocktail”.
Interessante anche l’osservazione di Fabio Camboni, barmanager di Kasa Incanto di Gaeta: “Se si lavora in piccole realtà come la mia, all’inizio è meglio optare per una drink list che comprenda classici insieme a signature. In questo modo è più facile diffondere la cultura del bere miscelato. Una volta che si sono fidelizzati e sensibilizzati i clienti allora si può anche decidere di segnare solo i twist e i signature. Ma è un percorso che richiede tempo”.
Detto ciò, attenzione: anche se non menzionate nella cocktail list i classici, ricordatevi che “un valido cocktail bar deve sempre essere in grado di servire tutti i classici conosciuti a livello mondiale”, sottolinea Diego Atlantico, bar manager del Flores Cocteles di Milano. “Spesso i classici sono sottovalutati, in realtà sono essenziali. Sulla lunga distanza i clienti, infatti, magari anche dopo aver provato più volte tutta la lista del proprio locale di riferimento, nel quotidiano ordinano gli evergreen”.
Tra chi ha preferito includere nel menu anche una sezione di indimenticabili c’è Lugi Barberis del Caffè degli Artisti di Alessandria. “Se alcuni drink hanno fatto la storia, attraversando epoche e continenti e influenzando gusti e tendenze, un motivo ci sarà. Si possono e si devono studiare e proporre nuovi connubi, ma bisogna prima che il cliente conosca le fondamenta. Per cui credo sia utile inserire in carta alcuni unforgettable che sono una leva per le vendite e aiutano a diffondere la cultura della mixology”, asserisce.
Tutto chiaro, fino a qua? Aggiungiamo solo che qualunque delle tre opzioni decidiate, è essenziale spiegare a voce il menu.