Charles Spence in Gastrofisica: la nuova scienza del mangiare (edito in Italia da Readrink) ricorda che la personalizzazione piace a tutti. E che sia una strategia redditizia è stato ampiamente dimostrato
Più il servizio è personalizzato, più è probabile che i clienti apprezzeranno l’esperienza e che, di conseguenza, torneranno.
Parliamo di personalizzazione in epoca di web2.0.
Da tempo si è diffusa la tendenza nei locali di alta categoria di annotare in un libro segreto (cartaceo o non) gusti e caratteristiche dei commensali, a partire dal pane che prediligono per arrivare ai marchi di distillati del cuore, senza scordare di segnalare informazioni pratiche come la mano dominante, il compleanno, gli hobby. Con le nuove tecnologie e i big data c’è però chi va oltre.

E sono sempre di più i locali per il grande pubblico che sfruttano servizi online a pagamento come Venga e OpenTable per raccogliere informazioni utili sul proprio pubblico. “Quando un cliente varca la porta del Ping Pong Dim Sun di Washington, il direttore commerciale sa già con ragionevole certezza cosa sta per ordinare”.
Che ne pensate? Vi seccherebbe scoprire che un ristorante o un cocktail bar vi abbia cercato su Google prima ancora che varcaste la soglia? Apprezzereste o trovereste inquietante che il cameriere vi accogliesse dicendo qualcosa come: “So che ama il Pisco…”?
La personalizzazione così estrema non perde forse di significato? E non si rischia di violare la privacy?




