HomeEditorialeQual è il futuro della personalizzazione?

Qual è il futuro della personalizzazione?

Charles Spence in Gastrofisica: la nuova scienza del mangiare (edito in Italia da Readrink) ricorda che la personalizzazione piace a tutti. E che sia una strategia redditizia è stato ampiamente dimostrato

Più il servizio è personalizzato, più è probabile che i clienti apprezzeranno l’esperienza e che, di conseguenza, torneranno.

Parliamo di personalizzazione in epoca di web2.0.
Da tempo si è diffusa la tendenza nei locali di alta categoria di annotare in un libro segreto (cartaceo o non) gusti e caratteristiche dei commensali, a partire dal pane che prediligono per arrivare ai marchi di distillati del cuore, senza scordare di segnalare informazioni pratiche come la mano dominante, il compleanno, gli hobby. Con le nuove tecnologie e i big data c’è però chi va oltre.

Così oggi in America sono diversi i ristoranti -e non mancano i cocktail bar- che hanno un database in cui compaiono tutti i clienti entrati nel loro locale. Come lo realizzano? Semplice, raccolgono su Google informazioni sui clienti sin dal momento della prenotazione, così da potergli conferire un’accoglienza calorosa e familiare.
E sono sempre di più i locali per il grande pubblico che sfruttano servizi online a pagamento come Venga e OpenTable per raccogliere informazioni utili sul proprio pubblico. “Quando un cliente varca la porta del Ping Pong Dim Sun di Washington, il direttore commerciale sa già con ragionevole certezza cosa sta per ordinare”.

Che ne pensate? Vi seccherebbe scoprire che un ristorante o un cocktail bar vi abbia cercato su Google prima ancora che varcaste la soglia? Apprezzereste o trovereste inquietante che il cameriere vi accogliesse dicendo qualcosa come: “So che ama il Pisco…”?

La personalizzazione così estrema non perde forse di significato? E non si rischia di violare la privacy?

Nicole Cavazzuti
Nicole Cavazzuti
Mixology Expert è giornalista freelance, docente e consulente per aziende e locali. Ha iniziato la sua carriera con il mensile Bargiornale e, seppur con qualche variazione sul tema, si è sempre occupata di bar, spirits e cocktail. Oggi scrive di mixology e affini su VanityFair.it e Il Messaggero.it. Chiamata spesso come giudice di concorsi di bartending, ha ideato e condotto il primo master di Spirits and Drinks Communication. Da novembre 2019 è la responsabile della sezione bere miscelato del nostro ApeTime Magazine. Per 15 anni è stata la prima firma in ambito mixology del mensile Mixer, organo di stampa della FIPE, per il quale ha ideato diverse rubriche, tra cui il tg dell'ospitalità (Weekly Tv) e History Cocktail, ancora attive e oggi in mano agli ex colleghi di redazione.

Aziende • Prodotti • Servizi

VINO

Dolce Salato