Quarto continente diverso per il viaggio alla scoperta delle birre prodotte in ogni angolo del pianeta: dopo essere approdato nell’arcipelago caraibico di Saint Kitts & Nevis, infatti, si era trasferito in Oceania, a Samoa, e sette giorni fa era a San Marino. Oggi arriva in Senegal.
Un continente, quest’ultimo, che riveste un ruolo sempre più importante nel mercato mondiale della bevanda: nell’ultimo decennio i consumi sono cresciuti del 4% ed inoltre, secondo le stime, entro il 2025, qui si svilupperà il 30% del mercato mondiale.
Uno sviluppo che, negli ultimi anni, si è iniziato a vedere anche in Senegal, dove, nonostante vi sia una birra tradizionale menzionata da fonti storiche risalenti a mille anni fa, il settore brassicolo incontra degli ostacoli di carattere religioso: questo è infatti uno dei Paesi africani nei quali la cultura islamica, che come noto proibisce il consumo di bevande alcoliche, si è maggiormente radicata.
Un cambiamento testimoniato dalla nascita del primi due piccoli birrifici artigianali: il primo è la ‘Brasserie du Gecko’ fondato nel 2020 da Sebastien Flachs. L’imprenditore francese, in un’intervista rilasciata al quotidiano ‘Le Monde’ ha sottolineato proprio come vi sia ancora una certa reticenza, da parte della popolazione locale, verso la bevanda: “Negli ultimi tempi, abbiamo notato che vi sono più senegalesi che acquistano le birre, ma, fondamentalmente, i nostri clienti sono ancora gli stranieri che vivono e lavorano qui ed i turisti”.
Proprio per questo motivo, la sede è situata vicino alla cittadina costiera di Ngaparou meta del turismo balneare. Con una produzione arrivata a diecimila bottiglie al mese, sta vedendo crescere il proprio giro d’affari poiché come ha spiegato il fondatore: “Sempre più persone vogliono avere la possibilità di poter scegliere fra birre industriali ed artigianali di qualità superiore”.
Attualmente il ‘birrificio del geco’ propone due referenze brassicole: la prima è una american pale ale con una gradazione alcolica del 5,4% che mette in risalto le note dolci del malto; la seconda, invece, è una flavored farmhouse ale che si distingue per un profilo aromatico particolarmente speziato e fruttato.
Se questa piccola azienda, per produrre le proprie birre, acquista materie prime principalmente dall’Europa, il secondo micro birrificio senegalese, il ‘Kalao’ (nome di un uccello originario dell’Asia meridionale), inaugurato nel dicembre dello scorso anno utilizza esclusivamente cereali provenienti dal continente africano.
Lo zenzero, il miglio ed il riso utilizzati sono infatti senegalesi, mentre il luppolo arriva dal Sud Africa. L’obiettivo è quello di collaborare allo sviluppo dell’agricoltura locale e di: “Creare una ricetta senegalese, in grado di proporre i sapori tipici di questa terra” ha spiegato il mastro birraio franco-camerunese Raphaël Hilarion, a capo della piccola azienda che, attualmente, produce mille bottiglie al mese.
Cereali coltivati localmente, come per l’appunto il miglio, ingrediente base della birra tradizionale che, in ciascun Paese dell’Africa, è conosciuta con un nome diverso: in Senegal viene chiamata Boumkaye oppure Niéniébane ed è molto diffusa specie nelle regioni meridionali.
Per quanto riguarda la preparazione della bevanda, che richiede alcuni giorni di lavorazione, anche qui, secondo la tradizione, viene realizzata dalle donne. Il primo passaggio prevede che il miglio venga immerso in acqua per un periodo che va dalle sette alle dieci ore e lasciato germogliare coperto con foglie di manioca o taro per mantenerlo umido.
Successivamente, viene lasciato asciugare al sole per tre giorni: una prassi che ricorda, almeno in parte, il processo di maltatura industriale. Questo passaggio, a differenza delle altre bevande tradizionali africane, nel caso della Boumkaye e della Niéniébane, non è indispensabile.
Il miglio viene quindi macinato, riposto in una pentola con acqua e cotto per sei, otto ore: al liquido filtrato ottenuto, si aggiunge del lievito ed il composto viene lasciato fermentare durante la notte. Il risultato finale è una bevanda alcolica semi-fermentata che, nel tempo, continua a fermentare, motivo per cui il tasso alcolico aumenta.
La bevanda non si conserva a lungo, motivo per cui viene prodotta, distribuita e consumata nell’ambito delle diverse comunità locali: birra tradizionale la cui sopravvivenza, come quella delle altre tipiche dei Paesi di quest’area dell’Africa economicamente più sviluppati, è messa in pericolo dalle birre industriali ed artigianali.
Questo quanto avviene anche in Senegal, dove è presente, a sua volta, un birrificio di grandi dimensioni, il SOBOA ( Société des Brasseries de l’Ouest Africain) di proprietà del gruppo Castel. Il prodotto di punta della casa è ‘La Gazelle’, una lager di color giallo dorato che mette in risalto note di malto e agrumi.
Panorama brassicolo senegalese che quindi, grazie alla nascita di due realtà artigianali che hanno affiancato quella preesistente e la produzione della bevanda tradizionale, mostra dei piccoli segnali di crescita: lentamente, infatti, la birra sta entrando nelle abitudini di una parte della popolazione locale, in un Paese dove è fortemente radicata la cultura islamica.