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Il campione del mondo Roman Zapata: ecco i segreti per sfondare nel flair

Roman Zapata, argentino classe 1992, si è laureato campione del mondo di flair alle finali dell’Iba World Cocktail Championship (Wcc), tenutesi nei giorni scorsi a Roma.

A sostenere questo autentico fuoriclasse del bartending acrobatico (in 15 anni di carriera ha già vinto decine di competizioni e conquistato innumerevoli podi), anche il tifo del pubblico di casa, e non poteva essere altrimenti: da diversi anni, Roman vive e lavora nel nostro Paese.

I suoi segreti? Passione, allenamento ma anche la medesima attenzione alla qaulità tanto dell’esibizione, quanto della miscelazione. “Il flair non è solo spettacolo: la produzione dello show è sempre più importante, ma non può prescindere dal cocktail”, ci spiega Roman Zapata, intervistato subito dopo la premiazione al Marriott Park Hotel di Roma.

E a chi si avvicina a questa affascinante disciplina, resa famosa da Tom Cruise nel film “Cocktail”, consiglia: “Metteteci tanta passione, non pensate ai soldi”…

Roman Zapata durante la premiazione

L’intervista a Roman Zapata, campione mondiale di flair Iba 2023

La tua vittoria ha portato l’Argentina al top del bartending mondiale, ma il momento della proclamazione è stato applaudito con entusiasmo anche dagli italiani, che ormai ti considerano uno di loro…
Mi considero anch’io per buona parte italiano. Al Wcc – prima, durante e dopo la gara – è stata un’emozione impagabile avere il supporto dei tifosi argentini e allo stesso tempo di tantissimi italiani, per me che ho nel cuore questi due paesi: quello della mia infanzia e adolescenza, e quello in cui ho vissuto i momenti più belli della mia vita professionale. Ora, dopo anni trascorsi a Milano, gli impegni di lavoro mi stanno portando a trasferirmi a Francoforte, ma in tutta onestà so che in futuro tornerò in Italia…

Sul palco del Wcc hai conquistato tutti con uno show dedicato a Wolfgang Amadeus Mozart.
Uno dei miei compositori preferiti. Al personaggio di Mozart erano ispirati il cocktail presentato in gara, dal nome (The Last Symphony) ai colori, così come la performance, dal costume alla musica, rivisitazione in chiave moderna delle sinfonie del grande musicista austriaco. E tutti i movimenti dell’esibizione erano sincronizzati con il tema musicale.

Dunque il flair non è più soltanto movimenti acrobatici: anche coreografia, musica e costumi hanno una loro importanza…
In questo caso sì: a differenza di tante altre competizioni alle quali ho partecipato in tutto il mondo, all’Iba World Cocktail Championship lo show e anche il cocktail hanno la stessa importanza della tecnica di flair.

“Se smetto per più di un mese, mi arrugginisco…”

Sono tanti i giovani affascinati da questa disciplina: che cosa cosiglieresti a chi si avvicina oggi al flair?
Innanzi tutto di dedicarvisi con passione, senza pensare ai soldi: quelli arriveranno, se si è bravi, ma prima bisogna davvero mettere anima e corpo nello sviluppo della tecnica e della capacità di intrattenimento del pubblico.

Oltre allo sviluppo della tecnica su livelli sempre più elevati, nel flair avrà sempre maggiore importanza la produzione dello show

Quanto tempo dedichi all’allenamento?
Me lo chiedono in tanti, ma è difficile rispondere: dipende dagli impegni personali e di lavoro. Ho la fortuna di fare del flair una professione, fra insegnamento, show e gare in giro per il mondo, quindi lo pratico pressoché tutti i giorni. Diciamo che, se devo prepararmi a una gara del calibro del Mondiale Iba, mi alleno dalle due alle otto ore al giorno.

Ma per quanto tempo puoi smettere di allenarti, senza “perdere la mano”?
In realtà è un po’ come andare in bicicletta: le basi restano nel cervello e nel corpo. Però, certo, se si lascia da parte la pratica per più di un mese, ci si arrugginisce…

Il futuro del flair? Tecnica, spettacolo e qualità dei cocktail

Come vedi il futuro del flair?
Oltre allo sviluppo della tecnica su livelli sempre più elevati, credo che avrà sempre maggiore importanza la produzione dello show, nell’ottica di dare al pubblico un’esperienza realmente diversa.

A proposito di esperienze diverse, al Wcc abbiamo visto in gara anche l’ungherese Julianna Buda, che nel flair unisce bartending acrobatico e movimenti di ginnastica artistica.
Ci conosciamo da anni, è una grande artista oltre che una grande atleta, tanto che rappresenta il suo Paese anche nelle gare di ginnastica artistica. Resto sempre ammirato di fronte alla capacità di mettere assieme diverse discipline.

L’ungherese Julianna Buda al Wcc 2023

Dal punto di vista di un cocktail bar, il flair può essere una opportunità per attirare i clienti puntando sullo spettacolo, più che sui drink?
In realtà non è così. Certamente, grazie alla sua spettacolarità, il flair – se fatto bene – attrae il pubblico e contribuisce ad aumentare il business, ma resta sempre finalizzato alla preparazione di un cocktail. Quando lavoro nei locali, sia a livello personale sia attraverso la scuola con cui collaboro, non porto soltanto lo show ma anche i nostri signature. E il drink con cui ho conquistato il Mondiale Iba, in altre competizioni ha ricevuto premi anche come miglior cocktail. Insomma, non potrei mai pensare di fare flair a prescindere dall’attenzione per i cocktail.

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Nicole Cavazzuti
Nicole Cavazzuti
Mixology Expert è giornalista freelance, docente e consulente per aziende e locali. Ha iniziato la sua carriera con il mensile Bargiornale e, seppur con qualche variazione sul tema, si è sempre occupata di bar, spirits e cocktail. Oggi scrive di mixology e affini su VanityFair.it e Il Messaggero.it. Chiamata spesso come giudice di concorsi di bartending, ha ideato e condotto il primo master di Spirits and Drinks Communication. Da novembre 2019 è la responsabile della sezione bere miscelato del nostro ApeTime Magazine. Per 15 anni è stata la prima firma in ambito mixology del mensile Mixer, organo di stampa della FIPE, per il quale ha ideato diverse rubriche, tra cui il tg dell'ospitalità (Weekly Tv) e History Cocktail, ancora attive e oggi in mano agli ex colleghi di redazione.

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