Salvatore Calabrese non ha bisogno di presentazioni: nato sulla Costiera Amalfitana ma da oltre quarant’anni a Londra, dove si è guadagnato il soprannome “The Maestro”, è considerato uno dei migliori bartender al mondo
A Roma, alle finali dell’Iba World Cocktail Championship 2023, il campionato del mondo dei barman, era fra i componenti più autorevoli della giuria tasting, incaricata di selezionare i cocktail in gara in base al gusto.
Subito dopo la proclamazione dei vincitori, lo abbiamo quindi intervistato per capire quali siano stati pregi e difetti dei drink in competizione e quali elementi abbiano determinato la classifica finale.
L’intervista a Salvatore “The Maestro” Calabrese
Quali sono le caratteristiche vincenti e le debolezze dei tre bartender che si sono contesi il titolo nella finale di miscelazione classica?
Chiariamo subito che ognuno di loro è arrivato in finale non per caso: stiamo parlando comunque di tre bravissimi bartender. Detto questo, il rappresentante di Porto Rico (Josè Valentin, classificatosi secondo, ndr) si è presentato con uno stile più “caldo”, tipicamente latino, il che non significa che la sua performance fosse migliore delle altre. Il bartender ungherese (Atilla Bus, al terzo posto, ndr) ha mostrato una buona tecnica, più “pulita” rispetto al portoricano, tuttavia la presentazione del suo cocktail era molto basica. Troppo, per una finale del Wcc.
Veniamo dunque al vincitore, Leo Ko di Hong Kong: che cosa ha fatto la differenza per lui?
Non aveva grande personalità però padroneggiava perfettamente la tecnica. Ogni giurato del Wcc ha i propri riferimenti, ma due elementi sono imprescindibili in una finale mondiale: l’estetica e il gusto. E a mio parere, quello di Ko era il cocktail più interessante sotto questi aspetti.
Passiamo alla categoria Flair, in cui si è imposto l’argentino Roman Zapata, sostenuto anche dal pubblico italiano (da anni vive e lavora nel nostro Paese): che cosa pensi di questa particolare forma di bartending? Può servire per attirare i clienti in un locale, a prescindere dalla miscelazione in sé?
Non sono d’accordo. Oggi ci sono tanti flair bartender che sono al tempo stesso ottimi mixologist. Cito ad esempio Christian Cage, fra i più noti a livello internazionale. Certo, il flair è una forma di intrattenimento per il pubblico, una sorta di circo, ma il fine ultimo resta quello di servire un cocktail bevibile. Che è ciò per cui, in fin dei conti, il cliente paga dei soldi in un locale.
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