Nuovo appuntamento con il viaggio alla scoperta dei prodotti tipici di tutto il mondo che la scorsa settimana si trovava nell’arcipelago di Capo Verde: qui la bevanda tradizionale per eccellenza è il ‘Grogue’, ovvero un distillato ottenuto dalla canna da zucchero e molto simile al rum sia per quanto riguarda la gradazione alcolica che il profilo aromatico.
Il tour oggi cambia continente e torna in sud America per approdare in Cile: si tratta del Paese dal territorio più lungo e stretto del mondo, così stretto che la distanza media fra l’oceano pacifico e la cordigliera delle Ande è di soli 180 Km: il clima, per questo motivo, varia molto e si passa dalle regioni aride del nord, come il deserto di Atacama, a quelle umide e rigide del sud.
Per quanto riguarda invece l’origine del nome Cile, secondo gli studiosi deriva dal termine ‘chin’ che per il popolo Quechua significa ‘freddo’. Un’altra ipotesi è quella che lo vede nascere dal termine ‘chilli’, che gli indigeni amerindi Mapuche usano per indicare ‘dove finisce la terra’.
In questo territorio, popolato da circa 18 milioni di persone per la maggior parte di origine meticcia, la bevanda tradizionale per eccellenza è la ‘chicha de jora’ a base di mais: densa, torbida e acidula, si contraddistingue anche per una bassa gradazione alcolica (3%).
Il colore varia dal rosso scuro al giallo chiaro a seconda della qualità del granoturco utilizzato nella preparazione: questi infatti hanno proprietà organolettiche differenti a seconda che vengano coltivati nelle regioni settentrionali del Paese, caratterizzate da una minor frequenza di precipitazioni, oppure in quelle meridionali che offrono condizioni climatiche opposte.
Ancora oggi viene realizzata quasi esclusivamente nelle abitazioni, dove la ricetta si tramanda di generazione in generazione. La preparazione dura cinque giorni: il primo passaggio prevede la cottura del mais, un procedimento che viene ripetuto Il giorno successivo per dissolvere gli eventuali grumi ancora presenti nel liquido.
Il composto viene quindi riposto in contenitori di terracotta: dopo due giorni la chicha, ben fermentata, si trasforma così in una bevanda corposa. Per creare un prodotto con un contenuto alcolico maggiore, seguendo la tradizione, le donne più anziane masticano il mais prima della sua fermentazione: la saliva infatti trasforma gli amidi in zuccheri che fermentano attivamente.
Esiste anche un’altra versione della bevanda altrettanto antica e importante nell’alimentazione della popolazione, ovvero la ‘chicha molli’, particolarmente diffusa nella regione andina: la ricetta, oltre a quello del mais, prevede l’utilizzo delle bacche di pepe rosa che sono il frutto di una tipologia di albero originaria del sudamerica, il ‘molle’.
Conosciuta anche come ‘mulli acqua’, viene preparata lasciando in ammollo i frutti per una notte intera affinché l’acqua assorba tutti gli zuccheri. Il giorno successivo, il liquido viene colato e poi fatto bollire per diverse ore e la sostanza che si ottiene prende il nome di ‘mulli upi’,ed è riposta a fermentare in contenitori di argilla che trascorsa una settimana, è pronta per il consumo.
Un altro prodotto tradizionale del Cile è il vino Pintatani, realizzato nella valle di Codpa (situata nella regione settentrionale del Paese al confine con Bolivia e Peru) secondo un antico metodo tradizionale da oltre 400 anni: si utilizzano le uve del vitigno Paìs, arrivato in Cile con i sacerdoti spagnoli, giunti per diffondere l’evangelizzazione e ai quali il vino serviva per la celebrazione della Messa.
La tecnica produttiva prevede che si smetta d’irrigare l’uva 90 giorni prima della vendemmia: si lasciano quindi i grappoli al sole per altri 10 giorni e successivamente si procede con la pigiatura che viene effettuata a piedi scalzi, accompagnata da canti e di notte per sfuggire al caldo.
Lo si lascia quindi fermentare nelle botti: è necessario aspettare almeno tre mesi prima che il vino sia pronto: originariamente il momento in cui si iniziava a degustare questo vino coincideva con le feste patronali e, per questo motivo, lo si trasportava da Codpa ai paesi vicini.
Anticamente la vendemmia era inoltre legata a numerosi rituali, come il fatto che solo le donne portassero le uve, mentre solo gli uomini potessero pressarle con i piedi nudi: durante il lavoro si cantava e si pronunciava spesso il vocabolo ‘walale’ che significa ‘dammi un goccio’, come richiesta alle divinità di qualcosa di fresco da bere per meglio sopportare la fatica ed il caldo. Il vino Pintatani, infine, si sposa alla perfezione con alcuni piatti tipici della cucina cilena, come il ‘lomo a lo pobre’, ovvero una grigliata di manzo accompagnata da patate saltate e legumi.
Un altro simbolo del Cile è il ‘Pisco Chileno’, ovvero un’acquavite ricavata dalla distillazione di vino bianco senza invecchiamento: si produce principalmente lungo la costa oceanica centro-settentrionale e viene usato anche come base per alcuni cocktail ( il ‘Pisco Sour’ su tutti).
La grande biodiversità del territorio cileno, da sempre, offre quindi la possibilità di creare un numero assai vario di bevande tradizionali, alcune delle quali hanno subito l’influenza dei coloni spagnoli mutando, ad esempio, il loro profilo aromatico oppure trasformandosi in alcune delle referenze della produzione birraria artigianale locale che, da due decenni, fa registrare un tasso di crescita esponenziale.