HomeBirraAumentano le coltivazioni di luppolo in Italia

Aumentano le coltivazioni di luppolo in Italia

In Italia continua a crescere il numero di ettari che sono destinati alla coltivazione del luppolo.

Uno dei temi centrali della filiera della birra italiana riguarda la scelta delle materie prime utilizzate: tutt’oggi, infatti, i birrifici della penisola, sia grandi che piccoli, sono ancora costretti ad importare dall’estero oltre il 90% delle materie prime, con il luppolo che sfiora il 100% (quest’ultimo viene acquistato prevalentemente da Paesi come gli Stati Uniti, la Germania, fino addirittura alla Nuova Zelanda).

Un cambiamento, tuttavia, si è cominciato a vedere grazie al decreto ministeriale del 5 agosto 2010 con il quale la birra, dall’ essere considerata semplicemente una bevanda, è diventata un prodotto agricolo: per questo motivo, sul nostro territorio, sono nate sempre più aziende della filiera del settore brassicolo che producono direttamente il luppolo ed il malto per le loro birre.

L’aumento ed il miglioramento qualitativo delle materie prime coltivate nella penisola, la presenza di micro-malterie sul territorio e l’adozione di soluzioni innovative contribuiranno alla realizzazione di prodotti sempre più realmente made in Italy e ad aumentare la competitività economica dei microbirrifici artigianali.

Il settore della produzione del cereale nostrano, negli scorsi decenni, ha dovuto superare diversi luoghi comuni negativi (come ad esempio: “il nostro Paese non possiede un clima adatto alla coltivazione del luppolo): superate queste difficoltà iniziali il comparto è riuscito a crescere notevolmente, soprattutto nel nord Italia come vedremo.

Il movimento è ancora molto piccolo, una nicchia nel campo agricolo nazionale, eppure mostra numeri in grande ascesa: un fenomeno che è sì alimentato dagli stessi birrifici che puntano sempre più ad utilizzare materie prime locali o italiane, ma anche dai consumatori, particolarmente sensibili al richiamo degli ingredienti a chilometro zero e di provenienza italiana.

coltivazione luppolo

Quali sono dunque realmente le dimensioni della coltivazione del luppolo in Italia? Per rispondere alla domanda possiamo affidarci a uno studio pubblicato venerdì scorso e firmato dai ricercatori Katya Carbone e Francesco Licciardo del CREA, ossia il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.

Gli autori hanno rilevato che, nel corso dello scorso anno, nel nostro Paese, la superficie dei terreni coltivati a luppolo è aumentata del 23,7% rispetto a dodici mesi prima: si tratta dell’incremento annuale maggiore di sempre che potrebbe preannunciare un’impennata della curva nei prossimi anni.

Uno scenario più che ipotizzabile dato che le aziende coinvolte nel comparto continuano ad aumentare (+8,9% nel 2022): questo dimostra quanto il settore attiri l’interesse e gli investimenti dei produttori e, negli ultimi anni, non solo delle aziende di piccole dimensioni.

Questa tendenza emerge ancora più chiaramente se si considera che, nel 2015, gli ettari coltivati a luppolo in Italia erano appena 4,1, un’inezia rispetto ai 97,5 del 2022: nonostante l’incremento sia evidente, occorre però tener presente che sono numeri praticamente irrilevanti se confrontati con quelli dei maggiori produttori europei (in Germania, ad esempio, alla coltivazione di questo cereale sono destinati ben 17.000 ettari).

Tale il motivo per il quale, al momento, è più costruttivo limitare l’osservazione ai nostri confini, dove il fenomeno non può passare inosservato: questo perché anche il numero degli operatori ha mostrato una crescita importante, con un incremento medio annuo del 55% negli ultimi sette anni (nel 2015 le aziende erano una ventina scarsa, nel 2022 quasi 200).

Sono interessanti anche i dati relativi alla distribuzione territoriale del settore: le aziende agricole si concentrano principalmente nelle regioni settentrionali, con il Veneto (34 aziende) che precede la Lombardia e l’Emilia-Romagna (26 ciascuna) e il Piemonte (21).

Gli autori della ricerca sostengono come questo primato sia favorito soprattutto da motivi di natura climatica e, in parte, di produttività brassicola, ma evidentemente ad influenzare la situazione, c’è anche la nota maggiore possibilità imprenditoriale che si riscontra in alcune zone del Paese rispetto ad altre.

Un maggiore equilibrio, almeno con il centro Italia, secondo lo studio, lo si nota analizzando gli ettari di terreno coltivato a luppolo per regione: se infatti Emilia-Romagna e Veneto risultano nettamente in vantaggio sulle altre (rispettivamente con 21,9 e 18,9 ettari), un ruolo non secondario è ricoperto dalla Toscana, terza in graduatoria (10,8 ettari) e dal Lazio, sesto (6,1 ettari), dopo Piemonte e Lombardia.

L’andamento del comparto della produzione del luppolo suggerisce quindi che i numeri attuali dovrebbero crescere ulteriormente nei prossimi anni e a dei ritmi sempre maggiori: potremmo infatti essere all’inizio di una forte impennata della curva, esattamente come accaduto alla birra artigianale italiana nel primo decennio di questo secolo.

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