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Giro del mondo in birra: Tonga

Nuovo appuntamento con il viaggio alla scoperta delle birre prodotte in tutto il mondo. La scorsa settimana il tour era in Togo, oggi invece l’esplorazione approda in Tonga

L’Oceania, per quanto riguarda l’offerta birraria, presenta delle grandi differenze fra le varie Nazioni: questo, ovviamente, è dovuto soprattutto alle macroscopiche disparità in fatto di dimensioni territoriali e popolazione.

Basti pensare all’Australia, sesto Paese del mondo per estensione, dove vengono prodotte diverse tipologie di birra e vi sono più di 700 attività operative nel settore: l’esatto contrario di quanto avviene nella piccola Tonga che conta solo poco più di 100mila abitanti.

La differenza è dovuta anche al fatto che, fino all’arrivo dei colonizzatori europei, che si sono insediati qui fra la seconda metà del ‘700 ed i primi decenni del ‘900, nell’arcipelago tongano in pratica non esistevano bevande alcoliche: vi era solo un distillato che si ricavava da un’erba di nome ‘kava’, tipica di quelle isole, che per le proprietà organolettiche, ricorda la valeriana e che veniva bevuto solo in occasione d’importanti cerimonie religiose.

Furono in modo particolare i soldati britannici (Tonga è stato infatti un protettorato della corona inglese dal XVIII al XX secolo) ad insegnare alla popolazione locale l’arte brassicola e quella della distillazione: nonostante questo, in quelle terre, le bevande alcoliche non sono mai state particolarmente apprezzate.

Lo dimostrano i dati relativi ai consumi interni di alcolici: prendendo in esame le statistiche relative alla birra si nota come, ad esempio nel 2019, il consumo pro capite annuo sia stato di 3 litri. Questo numero include i consumi dei turisti i quali incidono per il 70%: tale incidenza è data dal fatto che la maggior parte della popolazione locale vive in una situazione di grande indigenza.

Il panorama  dell’antica bevanda tongana sorprendentemente, presenta un prodotto innovativo dato che è la riproposizione di uno degli stili birrari che, negli ultimi anni, si sta facendo sempre più conoscere a livello mondiale: si tratta del ‘pastry stout’ che rimanda, in parte, alla cultura brassicola anglosassone. Una tipologia della bevanda alla quale, in passato, abbiamo dedicato un articolo: vediamo nuovamente, in breve, di cosa si tratta.

Sono prodotti di matrice statunitense, ma di derivazione britannica essendo rivisitazioni di due icone d’oltremanica quali le birre stout e le porter, con le prime che sono quelle maggiormente prese in considerazione per realizzare questa bevanda.

La prima parte del nome della birra in questione nasce con una valenza negativa dato che il termine ‘pastry’ si traduce con ‘stucchevole’ e, in questo caso, è usato proprio per indicare delle birre con un’importante componente dolciastra: proprio per questo motivo, nell’aroma e nel sapore, sono simili ai dessert.

Con ogni probabilità, si tratta di rivisitazioni più adatte a chi preferisce le bevande maltate a quelle luppolate e gli aromi decisi che ricordano quelli delle tradizionali birre scure sopra citate delle quali, inoltre, replicano l’elevata gradazione alcolica e la schiuma densa e sottile.

L’elevato grado di dolcezza è dato dall’aggiunta d’ingredienti che richiamano alla mente snack dolci, torte e gelati: nella maggior parte dei casi si tratta di sciroppo d’acero, marshmallow e frutti secchi quali la nocciola e le noci, ovvero prodotti di uso comune nelle case americane.

Pulotu coconut stout

Nel caso della ‘pastry stout’ prodotta a Tonga, dove non vi è disponibilità di molti se non di tutti gli ingredienti appena elencati, viene invece aromatizzata con un frutto tipico di quel territorio, ovvero il cocco: la produce il Pacific brewing, primo birrificio artigianale tongano che propone otto differenti birre.

La referenza in questione, disponibile sul mercato interno dal 2017, anno a partire dal quale l’azienda è in attività, si chiama ‘Pulotu coconut stout’: con una gradazione alcolica del 6%, si presenta con una schiuma compatta di color beige e con un aroma che mette in risalto, oltre a quelle del cocco, note di zucchero, malto tostato e caffè, come prevede lo stile.

La Pacific brewing che però non è l’unica realtà del settore birrario presente in questo arcipelago polinesiano: dal 1987, infatti, qui è operativo il ‘Royal beer’ che viene considerato un birrificio industriale non di certo per i volumi prodotti delle proprie birre locali, ma bensì per essere l’unico licenziatario tongano dei grandi marchi internazionali.

La migliore referenza della casa, secondo quanto riportato dal portale ‘Rate beer’, è la lager ‘Ikale gold’ realizzata nel solco della tradizione stilistica americana: proprio dagli Stati Uniti (ma anche dalla Nuova Zelanda) vengono importati i luppoli ed i malti tostati necessari per produrla.

birra Ikale gold

Le due realtà produttive di cui abbiamo scritto, possono quindi essere definite delle attività pionieristiche dell’arte brassicola a Tonga: un aggettivo che ben si adatta soprattutto al Pacific brewing che produce uno stile rivoluzionario come il ‘pastry stout’.

Date però le scarse risorse economiche della maggior parte della popolazione, non è possibile stabilire se, nei prossimi anni, nel piccolo arcipelago sorgeranno altri veri e propri birrifici che daranno modo al settore birrario di svilupparsi e di creare una vera e propria cultura locale dell’antica bevanda.

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Nicola Prati
Nicola Prati
Classe 1981. Subito dopo la maturità classica, inizia a collaborare con la ‘Gazzetta di Parma’ (2000): una collaborazione giornalistica che durerà otto anni. Contemporaneamente, dal 2005 al 2008, fa parte dell’ufficio stampa del Gran Rugby Parma. Successivamente, fra le altre esperienze lavorative, quella nell’ufficio comunicazione interna di Cariparma Credit Agricole e nella direzione relazioni esterne del gruppo Barilla. Le sue due più grandi passioni sono tutti gli sport e la musica. A queste, si aggiungono la lettura, i viaggi e la cucina. Collabora con ApeTime da gennaio 2021.

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