I cambiamenti climatici, siccità e alluvioni, fanno crollare la produzione del luppolo in Italia: -20%.
In un articolo pubblicato recentemente, abbiamo sottolineato come i primi otto mesi del 2023 siano stati molto negativi per la birra artigianale italiana: le vendite infatti hanno fatto registrare una contrazione del 6,6% rispetto allo stesso periodo del 2022. I primi due trimestri dell’anno in corso, inoltre, hanno visto diminuire le esportazioni del 7,4%.
Questi, chiaramente, sono due aspetti di primaria importanza per la salute del settore ma a rendere il tutto più allarmante sono le cifre dato che si tratta di una flessione molto evidente, che rischia di far perdere tutto il terreno guadagnato in termini di sviluppo dalla filiera nel 2022, anno della ripartenza dopo la pandemia.
A questi dati si aggiunge quello altrettanto negativo della produzione di luppolo in Italia che, quest’anno, è crollata del 20%: questo a causa del maltempo che, fra eventi estremi come nubifragi e alluvioni, temperature impazzite e grande siccità hanno tagliato le rese rispetto a quelle ottenute negli anni precedenti dai circa 100 ettari coltivati lungo la penisola.
Questo quanto emerge dall’analisi della Coldiretti realizzata in collaborazione con il Consorzio della birra Italiana e presentata in occasione della Giornata nazionale del luppolo italiano svoltasi presso il centro congressi di Palazzo Rospigliosi a Roma con l’apertura del salone dei luppoli made in Italy e il forum sul futuro del settore.
Il luppolo è un componente fondamentale della birra alla quale conferisce sapori e profumi legati proprio ai territori in cui viene coltivata la pianta. Le varietà più diffuse in Italia, dato che sono quelli che meglio si adattano alle condizioni climatiche delle varie aree della penisola, sono Cascade, Chinook e Comet.
Nubifragi, tornado, bombe d’acqua, grandinate con esplosioni di maltempo violento intervallato da ondate di calore africano hanno tagliato le produzioni agricole in un 2023 che si classifica come l’anno nero dell’agricoltura italiana con danni che superano i 6 miliardi di euro.
Questi sono gli effetti e i danni causati dalla tropicalizzazione del clima che, come sottolinea la Coldiretti, hanno colpito le coltivazioni di luppolo che sono concentrate soprattutto fra Piemonte, Emilia Romagna, Friuli, Veneto, Lombardia, Umbria e Abruzzo: a questi si aggiungono alcuni campi sperimentali in Sicilia e Sardegna che hanno fatto registrare un aumento del 64% delle superfici coltivate a luppolo da birra negli ultimi cinque anni.
Oltre al luppolo, per la produzione della birra, è indispensabile anche l’orzo alla cui coltivazione, a livello nazionale, sono destinati 24mila ettari dai quali si ottiene il malto di cui l’Italia produce appena il 40% del proprio fabbisogno: anche in questo caso la rendite, nel 2023, hanno fatto registrare un calo del 4% sempre a causa del clima.
Queste sono tutte materie prime necessarie per rispondere alle esigenze di una filiera artigianale che conta 1.182 attività fra microbirrifici e brew pub distribuiti su tutto il territorio nazionale, un dato triplicato negli ultimi anni: la concentrazione più alta si registra in Lombardia (184) e, a seguire, in Veneto (129), Piemonte (104), Toscana (89), Campania (81) e Lazio (70). Presenze importanti anche in altre regioni come la Puglia (66), la Sicilia (65), l’Emilia Romagna (63) e le Marche (54).
Birra italiana che, dal campo alla tavola, inoltre, offre lavoro a circa 93.000 persone: da chi coltiva le materie prime alla produzione delle bottiglie, dalle etichette ai tappi, dalla logistica alla comunicazione, ma non mancano neppure gli addetti coinvolti nello sviluppo del turismo con l’obiettivo di creare almeno una strada dedicata alla bevanda in ogni regione d’Italia per far conoscere i territori e le produzioni locali (la prima ad essere stata inaugurata, come abbiamo riportato, è quella nata nelle Marche).
I cambiamenti climatici, come sottolineano le associazioni di categoria, minacciano la produzione di birra in tutta Europa dato che, proprio per questo motivo, entro il 2050, si prevede un significativo calo della quantità e della qualità del luppolo che potrà essere impiegato per aromatizzare la bevanda.
Uno studio pubblicato su Nature Communications da un gruppo internazionale di ricerca coordinato dall’Accademia delle scienze di Praga spiega infatti che entro quell’anno la produzione di luppolo calerà tra il 4 e il 18%, mentre il suo contenuto di alfa acidi, ovvero la componente aromatica che trasmette il sapore alla birra, subirà una riduzione fra il 20 ed il 31%.
Un 2023 che quindi, come aveva lasciato intendere in una recente intervista anche il presidente di Assobirra Alfredo Pratolongo, si sta rivelando molto difficile per tutta la filiera della birra artigianale, soprattutto per i produttori più piccoli e per quelli che hanno da poco avviato le loro attività e che quindi non hanno alle spalle una certa solidità finanziaria.
L’auspicio degli addetti ai lavori (che assai difficilmente si realizzerà) è che al calo delle vendite, dell’export e della produzione di luppolo da birra non segua una brusca frenata dei consumi: la speranza consiste invece nel fatto che si tratti solo di un anno negativo prima di una nuova ripartenza, già nel 2024.