Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata ai prodotti tipici di tutto il pianeta che la scorsa settimana si trovava in Bolivia: qui, come abbiamo avuto modo di raccontare, vengono realizzate numerose bevande tradizionali.
Fra queste, quella maggiormente apprezzata, è conosciuta con il nome di ‘chicha de jora’ (si pronuncia ‘cicia’), ovvero la birra di mais maltato: densa, torbida e acidula, con una schiuma densa in superficie che si contraddistingue anche per la bassa gradazione alcolica (3%).
Il viaggio oggi cambia continente e torna in Europa per approdare in una regione ricca di storia quale la penisola balcanica, un vero e proprio crogiolo di popoli dove, da secoli, si incontrano e si scontrano differenti culture e tradizioni: questo avviene anche in Bosnia-Erzegovina delle cui bevande tradizionali parleremo in queste righe.
Il nome del Paese deriva dall’unione di quello del fiume Bosna con il termine ‘herceg’ che vuol dire ‘duca’. Storicamente è stata abitata prima dagli Illiri e poi dagli Slavi: dal 1400 fino alla fine del 1800 è rimasta sotto la dominazione degli Ottomani che hanno fondato la capitale Sarajevo.
Proprio a quest’ultimo periodo storico si lega la diffusione di quella che oggi è una delle bevande tradizionali bosniache per eccellenza, ovvero la ‘boza’: nata in Turchia, è diventato il prodotto più apprezzato di numerosi popoli in una macro area del mondo che si estende, per l’appunto, dalla penisola balcanica al Kazakistan passando per la Romania e la Bulgaria.
Si tratta di una bevanda a base di malto, in origine prodotta utilizzando il miglio, ingrediente base ancora usato insieme al grano. Si produce anche con mais oppure con grano fermentato: tutti i cereali, in genere, sono adatti alla produzione di questa birra tradizionale.
La determinazione accurata dell’origine del termine ‘Boza’ è difficile dato che alcune bevande alcoliche a base di miglio erano già note a diverse delle numerose antiche civiltà presenti in quest’area: alcuni reperti archeologici qui rinvenuti infatti hanno fatto ritenere agli studiosi che già alcune popolazioni che hanno vissuto in questo territorio poco tempo dopo gli Illiri fossero a conoscenza di alcune tecniche utili in tal senso.
I ricercatori, inoltre, data la sua assai bassa gradazione alcolica (fra l’1 e il 2%) hanno spiegato che da alcuni veniva considerata una bevanda non fermentata e non luppolata e quindi non un’antenata dei moderni prodotti brassati, come abbiamo avuto modo di vedere nella rubrica ‘Giro del mondo in birra’.
La Bosnia però, come tutti gli altri Paesi balcanici, è principalmente terra di distillati: quello più popolare è l’acquavite a base di frutta (‘Rakija’) che tradizionalmente viene preparata in casa. Il superalcolico, di norma, è a base di prugne e viene chiamato ‘Šljivovica’, ma si può realizzare anche con albicocche, pere e uva: la gradazione alcolica si aggira intorno al 40%, ma quella casalinga può arrivare fino all’80%.
Non vi è regione, villaggio o casa dei Balcani senza una bottiglia pronta a dare il benvenuto agli ospiti, ad accompagnare i pasti e a segnare il ritmo dei giorni e delle stagioni. Le rakije non sono però uguali: per realizzare un’acquavite d’eccellenza occorrono materie prime di alta qualità e una lunga esperienza, che consente di curare ogni aspetto della produzione nei minimi dettagli dato che è lì che si nasconde l’arte dei mastri artigiani conosciuti con il nome di ‘majstor rakije’.
La sua produzione, secondo la tradizione, inizia a novembre e il distillato viene lasciato fermentare per diversi mesi in botti di rovere in precedenza utilizzate anche per l’invecchiamento dei vini. In Bosnia viene offerto anche durante tutte le ricorrenze più importanti: si tratta però di un prodotto a rischio estinzione nella sua ricetta più classica data l’elevata sensibilità alle malattie degli alberi di prugne ‘pozegaca’ con cui si realizza.
I produttori, per tale motivo, optano sempre di più per la qualità del frutto conosciuta come ‘crvena ranka’: queste prugne vengono raccolte a fine agosto e sono riposte a ribollire con il nocciolo in antichi tini di legno per due mesi: trascorso tale periodo, vengono sottoposte a una prima distillazione da cui si ottiene una rakija con una gradazione alcolica del 30% e per questo definta morbida.
La seconda raffinazione, invece, avviene solo dopo un primo invecchiamento di due mesi in botti di legno di quercia: sono necessari circa 100 litri di grappa morbida per ottenerne 50 di acquavite cosiddetta ‘ljuta’ (ovvero ‘piccante’) dalla quale vengono rimossi sia la parte in superficie (il primo litro, litro e mezzo che è ricco di metanolo e dunque nocivo) che quella che rimane sul fondo della botte (troppo acida e di scarsa qualità che viene utilizzata per la produzioni di distillati di seconda scelta).
Il risultato è un liquore di pregio di colore giallo paglierino, più dorato se maggiormente invecchiato: il gusto è pulito e profondo e presenta aromi intensi di frutta e vaniglia. Viene bevuto soprattutto a inizio pasto insieme ai ‘meze’, ovvero gli antipasti a base di vegetali, carne e formaggio diffusissimi in tutti i Balcani.
Bosnia che quindi, come visto, essendo stata abitata nel corso della storia da numerosi popoli che ne hanno plasmato la società influenzando la cultura locale, presenta un’ampia varietà di bevande tradizionali che sono assai apprezzate anche al di fuori dei confini nazionali.