Angelo De Valeri è senza dubbio uno dei grandi esponenti della mixology italiana “classica”.
Più di quarant’anni di carriera alle spalle, iniziata a 15 anni alla Scuola Alberghiera di Fiuggi e proseguita con esperienze in Germania e sulle grandi navi da crociera oltreoceano, prima di tornare a Roma dietro ai banconi di hotel prestigiosi come lo Sheraton, l’Excelsior (per ben 27 anni) fino all’attuale Colonna Palace.
Un grande barman che, dopo avere attraversato tutte le mode più o meno passeggere e i momenti più o meno felici della miscelazione degli ultimi decenni, ancora oggi crede in pochi ma fondamentali punti fermi, indispensabili per avere successo in questa professione. Primi fra tutti: l’attenzione ai desideri dei clienti e la conoscenza dei classici.
Come è cambiata la mixology nei quattro decenni che hai vissuto come barman?
Intanto mi preme sottolineare che cosa non è cambiato: i fondamentali. Ho iniziato nei primi Anni ’80 studiando i classici, la cui conoscenza è tutt’oggi una base imprescindibile. L’abilità del barman sta semmai nel prepararli scegliendo i distillati di base più adatti fra la grande varietà che offre il mercato. Per il resto, in questi quarant’anni si sono succedute varie mode. Abbiamo assistito all’esplosione del flair, sulla scia del film “Cocktail” del 1988 con Tom Cruise: ha avuto il merito di trasformare la nostra professione in spettacolo e anche di insegnare ai bartender a lavorare in team. Più recentemente c’è stato il boom dei mixologist, ovvero di quella categoria di bartender che, più che all’accoglienza dei clienti, si dedica allo studio delle preparazioni.
Colgo una nota di disapprovazione in queste tue parole…
Mah, è un approccio che non condivido. A volte si dimentica che la materia prima del bar non sono le bottiglie o i preparati, bensì i clienti. In ogni caso, al di là delle mode, credo che oggi la mixology stia attraversando un buon momento: i clienti hanno sempre più voglia di bere bene e hanno tanta voglia di classici.
Però, se da un lato i clienti sono sempre più preparati ed esigenti, sul fronte opposto si fatica a trovare personale specializzato. Negli ultimi anni abbiamo visto bravi bartender abbandonare la professione per andare a lavorare con le aziende come brand ambassador o consulenti, attirati da guadagni migliori.
Io non credo che sia un problema di guadagni. La realtà è che stare dietro a un bancone non è facile, bisogna continuamente studiare, tenersi aggiornati, reinventarsi… Se qialcuno, facendo questo mestiere, è già esaurito a trent’anni, allora dovrebbe farsi delle domande. Per chi sceglie di fare il bartender, il bancone è qualcosa di irrinunciabile, è il palcoscenico su cui ogni giorno puoi inventare qualcosa di nuovo, rendere ogni serata diversa dall’altra. Fare il brand ambassador, piuttosto che realizzare masterclass o quant’altro non dovrebbe rappresentare una scusa per lasciare il bancone, semmai dovrebbe essere una cosa in più.
Eppure ci sono tanti bartender dalla solida esperienza che lamentano di sentirsi offrire paghe ridicole, magari con una parte fuori busta…
Noi dobbiamo portare profitti. Se lo facciamo ci pagano bene, credimi. E per farlo dobbiamo essere in grado di realizzare la giusta carta cocktail e soprattutto di soddisfare i clienti.
Qual è la carta cocktail “giusta” secondo Angelo De Valeri?
Quella che risponde al meglio ai gusti dei clienti del locale. Partendo magari anche da un semplice Spritz. Che, se fatto bene, può dare tante soddisfazioni: eppure troppe volte lo vedo preparare in maniera scorretta, agitandolo troppo, con il risultato di fargli perdere la sua caratteristica effervescenza.
Il tuo cocktail preferito?
Dipende dal momento: nel mio caso, ai migliori stati d’animo corrispondono Bloody Mary, Americano e Martini Cocktail.
La tua storia professionale è legata in gran parte all’Hotel Excelsior di Roma, in via Veneto, noto per avere dato i natali al Cardinale. Ma è davvero un twist del Negroni?
Bella domanda. La storia dice che è nato attorno al 1950 quando il cardinale tedesco Shumann, ospite all’Excelsior, chiese un aperitivo con vino bianco (era un estimatore del Riesling della Mosella) fortificato con gin. E il barman Giovanni Raimondo gli preparò questo drink a base di vino speziato aggiungendovi gin e Campari.
Quanti Cardinale hai preparato in 27 anni all’Excelsior?
Parecchi. Compresa qualche variazione: ad esempio realizzai il Cardinale Spritz, a base di vino bianco secco, soda, Campari e un po’ di Cointreau.
E ora?
Ora, al Colonna Palace, mi diverto a fare masterclass sul classico Martini Cocktail. E ne sto preparando una anche sul Negroni. Pronto ad accogliere a braccia aperte il mio amico Luca Picchi, se vorrà venirmi a trovare da Firenze…
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