Le etichette delle bevande riportano “data limite di consumo” oppure “termine minimo di conservazione”: due definizioni semplici ma con una grande differenza. Sai quale delle due, se oltrepassata, può essere pericolosa per la salute? Scopriamolo insieme.
Sulle confezioni di tutti i prodotti alimentari confezionati, birra compresa, per legge è obbligatorio imprimere le date di scadenza: come molti forse sanno, queste però si dividono in due tipologie, ovvero la ‘data limite di consumo’ (DLC) e il ‘termine minimo di conservazione’ (TMC) che, in inglese, diventa ‘best before’ ovvero ‘meglio prima’ di una tale data.
Le differenze fra queste due nomenclature sono semplici, ma rivestono grande importanza per quanto riguarda la salute dei consumatori: la prima infatti indica una data oltre la quale non si deve assumere un alimento o bere una bevanda per non incorrere in gravi rischi patologici: questo è il caso, ad esempio, della carne e del pesce freschi, dei latticini e delle uova.
La seconda dicitura, invece, si riferisce ad una data entro la quale è preferibile consumare l’alimento o la bevanda in questione per goderne a pieno del gusto e delle sue qualità organolettiche che potrebbero mutare, in maniera più o meno consistente, con il passare del tempo.
Questi prodotti però, a differenza dei primi, non sono pericolosi per la salute anche se vengono consumati dopo questa data: in tale categoria rientrano alimenti quali la farina, la pasta, l’olio, il vino, le conserve e, per la felicità degli amanti dell’antica bevanda, anche la birra.
La data di scadenza riportata sulle confezioni e sulle bottiglie dei prodotti brassicoli, di norma, segue di qualche mese quella relativa all’imbottigliamento (anch’essa riportata). Questo viene fatto principalmente per un motivo preciso: nei primi mesi le qualità della birra sono infatti ancora esaltate al massimo, mentre, con il passare del tempo, il sapore del prodotto tende ad affievolirsi e a perdere corposità.
Questo però non vale per tutte le tipologie: come avviene per il vino, infatti, quelle ad alta gradazione alcolica tendono a migliorare il proprio profilo aromatico con il trascorrere dei mesi;in questa categoria rientrano le birre Imperial stout, lambic e Barley wine.
Il medesimo discorso è valido per quelle artigianali che, se ben conservate, con il tempo, svilupperanno aromi e sapori migliori: queste infatti possono conservarsi anche per 5 anni, ma alcune, come ad esempio le Imperial stout, arrivano a oltre 20 anni di conservazione.
Per fare però in modo che le caratteristiche qualitative della bevanda migliorino, è fondamentale conservarla in maniera ottimale. Ecco tre semplici consigli: deve essere sempre tenuta in un luogo fresco ed asciutto, bisogna evitare di sottoporla a degli sbalzi termici e tenerla lontana dalla luce, sia naturale che artificiale.
L’aspetto al quale quindi bisogna prestare un po’ di attenzione, è la data di scadenza riportata sulle etichette delle birre industriali, in modo tale da poterle assaporare al massimo del loro potenziale aromatico e gustativo. Tuttavia, e questo è valido anche per le birre artigianali, la bevanda, una volta aperta, deve essere consumata entro tre-quattro giorni dato che tende ad ossidarsi a contatto con l’aria.
Se questa è la regola standard, esistono comunque delle birre che sono più sensibili al trascorrere del tempo rispetto ad altre, al di là del fatto che si tratti di prodotti industriali o artigianali: fra queste troviamo quelle più delicate (a base di frutta o agrumi) e quelle molto luppolate, oltre, come visto, a quelle caratterizzate da una bassa gradazione alcolica.
Per queste il ‘tempo minimo di conservazione’ ha una valenza maggiore, almeno in parte: un’esperienza gustativa fatta in prossimità, o dopo tale data, può infatti risultare meno soddisfacente rispetto ad un consumo più ravvicinato al momento del confezionamento.
In particolare, per le birre con un elevato contenuto di luppolo, lo scorrere del tempo non deteriora il prodotto rendendolo nocivo per chi lo consuma, ma può alterarne sapori e aromi: l’amarezza tipica del luppolo, infatti, tende ad evaporare lasciando spazio alla dolcezza del malto che fa emergere sapori più intensi.
Dal punto di vista della salute, quindi, degustare l’antica bevanda quando questa è scaduta non è dannoso, anche se il sapore potrebbe essere mutato: in modo particolare nel caso di quelle industriali, si tratta di correre il rischio di consumare un prodotto con poco sapore, poca corposità e dal retrogusto annacquato. Non il massimo, ovvio, ma certamente sempre meglio di doverla mestamente buttare nel lavandino per non rischiare un’infezione alimentare.
Questo, inoltre, fa in modo che, in Italia, chi vende una birra con il ‘termine minimo di conservazione’ scaduto non è sanzionabile, ulteriore dimostrazione di come si tratti di un’indicazione, di un suggerimento, su entro quando, specie nei casi che abbiamo visto, è preferibile degustare la bevanda per trarne il miglior giovamento possibile dalle sue inconfondibili proprietà aromatiche.