La birra e la pittura: un’unione impossibile? No, è stata usata dai grandi pittori danesi dell’800. Gli studi e le ricerche scientifiche, negli ultimi decenni, stanno portando alla luce una serie di prove, senza dubbio molto affascinanti ed importanti, che riguardano la storia e l’utilizzo della birra nel corso dei secoli.
La bevanda, non è un segreto, ha infatti sempre rivestito un ruolo importante nella vita e nella cultura l’uomo.
Una testimonianza di questo, è il recente ritrovamento di un birrificio, risalente all’Antico Egitto, all’interno di una necropoli situata lungo il corso del fiume Nilo e dedicata al culto di Osiride, la divinità degli inferi del culto egizio: la birra qui prodotta veniva infatti utilizzata soprattutto per i riti funebri e i sacrifici in onore del dio affinché accogliesse le anime dei defunti.
Un’altra importante, se non straordinaria, scoperta riguardante l’impiego della birra, che dimostra ancora di più l’ampio e diversificato utilizzo della bevanda nel corso della storia, è stata fatta in questi giorni da un gruppo di studiosi danesi ed italiani: nell’800 i pittori danesi la impiegavano per dipingere le loro tele.
Per la precisone, utilizzavano proteine derivate dai lieviti, cioè dai sottoprodotti di scarto dei birrifici in auge all’epoca: questa quindi sarebbe stata la risorsa segreta degli artisti che, con i loro quadri, hanno dato vita a quella che è riconosciuta come l’età dell’oro della pittura di quel Paese.
Scoperto quindi un ingrediente del tutto inaspettato nelle tele dagli artigiani dell’Accademia di Belle Arti di Copenaghen che le preparavano per pittori celebri, come Christoffer Wilhelm Eckersberg, o per studenti che, in seguito, sarebbero diventati famosi, come Christen Schiellerup Købke.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Science Advances, è stata coordinata dagli studiosi italiani Enrico Cappellini e Fabiana Di Gianvincenzo, entrambi dell’Università di Copenaghen: allo studio hanno collaborato la Royal Danish Academy di Copenaghen e la National Gallery of Denmark.
I quadri analizzati, tutti del periodo compreso fra il 1826 e il 1833, sono dieci e, di questi, sono i sette provenienti dall’Accademia a conservare le tracce delle proteine dei lieviti. Si apre così una nuova pagina nella storia dell’arte, nella quale l’uso dei sottoprodotti delle birrerie nella realizzazione dei quadri cambia in modo significativo la storia delle tecniche della pittura a olio e mostra anche come nella società danese degli inizi del XIX secolo vi fosse una grande interconnessione fra economia e produzione artistica.
I frammenti delle proteine sono stati identificati utilizzando la paleoproteomica, ossia l’analisi della struttura e delle funzioni di sostanze organiche prelevate da campioni di materiali antichi. “L’applicazione di questa tecnica è relativamente nuova nello studio dell’eredità culturale” ha spiegato Di Gianvincenzo, prima autrice della ricerca.
“La presenza di cereali e lievito era inaspettata – ha aggiunto – e apre una prospettiva completamente nuova nella ricostruzione delle tecniche di produzione dei materiali artistici all’inizio del XIX secolo”. Non è da escludere infatti che vi possano essere altri dipinti dell’epoca realizzati con i sottoprodotti della birra.
Anche per Cappellini la paleoproteomica è uno strumento potente per studiare oggetti artistici, anche moto antichi poiché: “permette d’identificare con sicurezza le minime tracce di proteine” anche in contesti danneggiati e contaminati. “Studi come questo – aggiunge – mostrano quante lacune esistano ancora nella conoscenza delle tecniche utilizzate nella storia della produzione artistica”.
“Rivelano anche le connessioni nascoste che vi sono state nel corso dei secoli fra gli artisti e la società, l’economia e la cultura. Per questo – conclude – la proteomica è destinata a diventare sempre più comune nelle ricerche sulla storia dell’arte, in modo particolare della pittura”.
Dei sette quadri analizzati, tre sono opera di Eckersberg e risalgono al periodo in cui l’artista insegnava nell’Accademia, mentre quattro sono di Købke che, nello stesso periodo, era uno studente. Per Cecil Krarup Andersen, co-autrice delle analisi e professore associato della Royal Danish Academy, questa ricerca ha offerto: “un’opportunità unica per studiare come gli artisti lavoravano in passato”, utilizzando anche ingredienti davvero insoliti e sorprendenti, come appunto la birra.