Dopo la doppia tappa in Asia, con India e Indonesia, il tour brassicolo torna in Europa per approdare in una delle più importanti culle della birra a livello mondiale.
Stiamo parlando dell’ isola di smeraldo, ovvero l’Irlanda (chiamata così per le sue colline e valli verdi), dove la bevanda accomuna tutti, dallo studente al manager, dal ricco al povero: un vero e proprio livellatore sociale.
La storia che lega la birra a questa terra è infatti antica di secoli: furono i Celti a far spazio nella propria cultura alla bevanda, proveniente dal lontano oriente, che chiamavano “corim” e consumavano così come era oppure dopo averla aromatizzata con miele ed erbe selvatiche.
Cosa comune a molti altri Paesi europei, fra cui il Belgio, anche in Irlanda la produzione di birra, a partire dall’Alto Medioevo, divenne competenza pressoché esclusiva di corti e monasteri: un’attività non certo secondaria, come non secondaria era l’importanza che questa bevanda rivestiva già allora a tutti i livelli della vita sociale.
Ne è testimonianza, ad esempio, il ‘Crìth Gablach’, ovvero l’ antico “poema-legge” del VII sec. a.C. che obbligava il signore a bere una birra con la servitù una volta alla settimana: in questo antico documento era stabilito addirittura il giorno, ovvero la domenica. Nobili e signori inoltre godevano di cattiva reputazione se non accoglievano i propri ospiti con quantitativi della bevanda sufficienti a soddisfare la loro sete.
Sfera nobiliare a parte, la birra, come detto, si era già ben radicata nella cultura popolare: l’attività brassicola infatti trovò una nuova nuova dimensione nella ‘cottage industry’ che si diffuse rapidamente in tutta l’isola. Si trattava di produzioni casalinghe che, in una stanza della casa, venivano servite al pubblico dal mastro birraio di turno.
Anzi, dalla mastra birraia dato che la produzione della birra, solitamente, era competenza delle donne, scherzosamente ribattezzate ‘ale wives’ (‘mogli di birra’), dato che veniva considerata un’attività domestica come tante altre, come preparare il pane o la cena.
La fama di alcune di queste birre, generalmente scure, corpose e poco luppolate, si diffuse oltre le mura domestiche e fecero la loro comparsa le prime ‘ale house’ (‘casa della birra’), ovvero delle autentiche antenate di quelli che oggi sono i pub: ne rivestivano infatti il medesimo ruolo di luogo di aggregazione sociale (n.d.r: una di queste, nel 1840, sarebbe diventata il celebre ‘Temple bar’ di Dublino).
Questo sistema caratterizzò produzione e consumo di birra più o meno fino alla metà del ‘700 quando nacquero le prime grandi industrie birrarie irlandesi. La produzione su larga scala mise ben presto in crisi la ‘cottage industry’ che cedette il passo a chi nella birra, avendone le possibilità, investiva in maniera consistente le proprie fortune.
A livello produttivo, la prima grande rivoluzione birraria nel mondo anglosassone fu, all’inizio del XVIII secolo, la nascita delle porter che, inizialmente, erano ottenute dalla miscelazione di tre differenti birre: una brown ale giovane, una pale ale e una brown ale invecchiata. Riscossero grande successo soprattutto tra i facchini, i porters appunto, da cui sembra derivi il nome.
Le porter trovarono in quello irlandese il principale mercato di riferimento: le versioni più forti di questo stile erano chiamate “stout porter”, poi semplicemente stout. Verso la metà del ‘700, un quarto di tutte le birre bevute in Irlanda erano porter provenienti dall’Inghilterra.
Questo il motivo per il quale era sempre più dura per i birrai locali competere con le birre scure: a questo si aggiungevano delle tasse piuttosto elevate imposte sulla produzione dal governo inglese (tassazione che fu definitivamente abolita, dopo non poche battaglie, nel 1795) ed il fatto che le porter avevano dalla loro una costanza qualitativa sconosciuta alle piccole produzioni irlandesi.
In questo contesto, si affacciò al mondo birrario Arthur Guinness che, nel 1759, fondò nella periferia di Dublino quella che sarebbe poi diventata un’autentica istituzione irlandese. L’influenza dello stile porter era, come detto, molto alta e fu a questo prodotto così apprezzato dal mercato che le principali birrerie dell’isola rivolsero la loro attenzione.
Lo fece Guinness, e lo fecero altri personaggi come William Beamish e William Crawford, due commercianti di Cork che, nel 1792, aprirono il Cork Porter Brewery: si tratta del birrificio che, agli inizi dell’800, si affermò come il più importante di Gran Bretagna con oltre 10.000 ettolitri di birra venduti all’anno (a fronte dei circa 6.500 immessi sul mercato dalla Guinness).
I produttori irlandesi, in realtà, non si limitarono ad adottare lo stile porter riproducendolo in maniera meccanica: prendendo ispirazione da questo si inventarono uno stile tutto loro, l’Irish Dry Stout. Nel 1786, per ovviare all’ennesima tassa sul malto decisa dal governo inglese, i mastri birrai infatti cominciarono ad utilizzare anche orzo non maltato che veniva torrefatto: questo conferiva alla birra un carattere diverso, marchio di fabbrica di questo nuovo stile che sarebbe diventato il tratto distintivo delle autentiche birre irlandesi.
Questi i passaggi che hanno portato alla nascita dell’universo birrario dell’isola di smeraldo: un mondo del quale torneremo a parlare dato che vi sono un’ infinità di aspetti da raccontare di quella che, come noto, è a tutti gli effetti una delle culle della storia e dell’arte brassicola universale.