La decozione, un antico e controverso metodo per produrre birra. Oggi ve ne parliamo meglio.
Il crescente interesse per la birra sta facendo in modo che vengano riscoperti alcuni antichi stili brassicoli: bevande che erano scomparse poiché realizzate con metodologie produttive cadute in disuso nel corso dei secoli a causa dei progressi tecnologici come l’introduzione del sistema di essicazione dei cereali in forni a getto d’aria anziché a fiamma diretta.
Un’antichissima declinazione della bevanda, riproposta negli ultimi anni specie dai birrifici artigianali britannici e americani, ad esempio, è la ‘gruit’: questo termine tedesco, che ha visto la luce durante il medioevo (viene menzionato per la prima volta nel 924 nel testo latino ‘Materium cerevisiae’), inizialmente, indicava la combinazione di tre erbe, ovvero mirto di palude, achillea millefoglie e rosmarino di palude.
La parola poi, in un breve arco temporale, assunse altre due diverse valenze: la prima indicava il monopolio sulla vendita di birra delle autorità locali in Belgio, Olanda e Germania, la seconda invece si riferiva alle birre prodotte utilizzando il composto di erbe sopracitato che, per l’appunto, era conosciuto con il nome di ‘gruit’ e queste sarebbero diventate le ‘gruit ales’.
La decozione, di cui parleremo in questo articolo, invece è senza dubbio la più controversa fra le antiche tecniche coinvolte nella produzione brassicola: per alcuni birrai infatti è una soluzione irrinunciabile per la qualità del prodotto finale, mentre per altri ha effetti del tutto irrilevanti sulla birra mentre per altri ancora è addirittura dannosa.
Un modo di fare birra che, proprio per il fatto di essere al centro di discussioni sui benefici che è in grado di apportare alla bevanda, è stato progressivamente abbandonato nel corso dell’ultimo secolo: negli ultimi anni però sta riacquistando credito, anche presso quei birrifici che non producono birre a bassa fermentazione, ovvero quelle che maggiormente si addicono alla decozione.
Questa tecnica si applica all’ammostamento (o mashing), cioè durante la fase della produzione nella quale i grani macinati di malto vengono messi in ammollo in acqua calda: generalmente questo passaggio avviene tramite infusione, ovvero con un innalzamento graduale della temperatura del mosto, con alcune pause, fino al raggiungimento di determinate temperature.
Con la decozione, invece, l’innalzamento della temperatura del mosto si ottiene prelevandone una parte comprensiva dei grani (decotto) dal tino di ammostamento, portandola a bollitura in un recipiente a parte e poi reimmettendola nel tino precedente: il prelievo può avvenire diverse volte (fino a tre) e accelera un processo chimico che comporta la produzione di sostanze che conferiscono alla bevanda aromi freschi e maltati.
La decozione era molto diffusa in passato perché permetteva un certo controllo della fase di ammostamento in assenza di attrezzature moderne: oggi infatti gli impianti produttivi sono in grado di gestire l’infusione del mosto in maniera automatica, regolando gli innalzamenti di temperatura e mantenendo quest’ultima costante per il tempo necessario a ogni passaggio produttivo.
Il prelievo e la bollitura di una stessa quantità di mosto, quando non esistevano i termometri, permettevano di rendere gli innalzamenti di temperatura costanti da cotta a cotta, trasformando quindi l’ammostamento in un procedimento consolidato e replicabile.
Questa tecnica, inoltre, era utile per gestire al meglio malti allora poco conosciuti per quanto riguardava le caratteristiche organolettiche: la bollitura del decotto infatti favorisce la solubilizzazione degli amidi presenti nei cereali e quindi un corretto apporto aromatico alla bevanda.
La decozione quindi è un modo di fare birra ormai desueto che però, in passato, risolveva diversi problemi durante il processo produttivo: nonostante questo, in realtà, non è mai scomparsa del tutto e diversi birrifici la utilizzano tutt’ora per i vantaggi che, secondo alcuni, apporta al prodotto finito.
Uno di questi è la formazione di un profilo aromatico più complesso e “profondo” rispetto a quello ottenuto con una normale infusione: in altre parole una birra qualitativamente migliore, il che giustificherebbe gli svantaggi legati alla decozione fra cui la dilatazione dei tempi necessari per l’ammostamento.
Questa, inoltre, è una soluzione molto dispendiosa in termini energetici, quindi meno sostenibile sia a livello economico sia a livello ambientale e non esiste ancora alcuna dimostrazione scientifica degli effetti positivi della decozione sul profilo aromatico della birra.
Un procedimento che quindi, in parte, non è mai caduto del tutto in disuso e, al tempo stesso, negli ultimi anni, è stato riscoperto da alcuni birrifici soprattutto tedeschi, ma anche italiani e, in modo particolare, per la realizzazione di una birra iconica come la lager: la doppia o tripla decozione infatti, secondo questa scuola di pensiero, consente di ottenere una bevanda di qualità superiore e dal profilo aromatico più intenso.